L’Italia invecchia, ora un patto per il welfare Il 2022 potrebbe essere decisivo per affrontare la riforma dei servizi per i non autosufficienti e offrire nuove opportunità di cura per gli anzian

L’Italia invecchia, ora un patto per il welfare
Il 2022 potrebbe essere decisivo per affrontare la riforma dei servizi per i
non autosufficienti e offrire nuove opportunità di cura per gli anziani


IL Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza ha chiesto al
Governo di creare le condizioni per avviare un processo che è sempre
più urgente per il nostro Paese. Ci mancano infatti gli strumenti adeguati
per affrontare questo cambiamento epocale.
di Paolo Riva
Nel 2022, in Italia, il modo in cui ci si prende cura degli anziani potrebbe
finalmente iniziare a cambiare. Ma molto dipende dalla Legge di bilancio. E da
come verrà modificata in seguito al dibattito parlamentare in corso. Il nostro è
un Paese vecchio e in invecchiamento. Oggi i cittadini sopra i 65 anni sono
quasi quattordici milioni, pari al 23 per cento della popolazione. È il dato più
alto di tutta l’Unione europea, ma si stima che crescerà ancora, arrivando a
raggiungere il 34 per cento nel 2050. Il termine anziano, però, riguarda
persone molto diverse tra loro, per età, risorse e bisogni: dall’arzillo
neo-pensionato all’ottantenne acciaccata fino al novantenne con demenza.
È facile dire “anziani”
Per creare un welfare che li sostenga tutti è meglio suddividerli almeno in tre
gruppi: attivi, fragili e non autosufficienti. Per le prime due categorie non si
hanno molti dati a disposizione, mentre nella terza si contano 2,6 milioni di
persone circa. Ed è proprio per loro che la situazione potrebbe cambiare.
«Serve un ripensamento di sistema», sostiene Luca Vecchi, sindaco di Reggio
Emilia e delegato Anci al Welfare. A suo parere «occorre passare da una
logica “prestazionale” a una di presa in carico e di accompagnamento della
persona nella parte finale della propria vita», spiega.
La questione è quanto e come lo Stato italiano spende per questi anziani.
«Male», secondo Lorenzo Bandera, del Laboratorio Percorsi di secondo
welfare. «Troppo spesso – spiega – usiamo le armi della sola sanità e non del
sociale. Il problema con gli anziani soli o non autosufficienti non è solo fare
loro un’iniezione o portarli alle visite, ma la quotidianità. E per la quotidianità
servono interventi sociali, oggi residuali».La pandemia ha messo in evidenza
ancora di più queste carenze e, per il sindaco Vecchi, «ha rappresentato un
potente acceleratore della necessità di innovare».
L’azione del PNRR
Per la non autosufficienza nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)
sono previsti sia investimenti sia una riforma complessiva del settore.
Quest’ultima è figlia anche del lavoro del Patto per un nuovo welfare sulla non
autosufficienza, un’alleanza di oltre quaranta enti della società civile (tra cui
Secondo Welfare, ndr) di cui il professor Cristiano Gori è il coordinatore
scientifico: «Il nostro obiettivo – dice – è riconoscere alla non autosufficienza
la stessa dignità degli altri settori del welfare».
«È un percorso faticoso ma ora il tema è entrato nell’agenda politica»,
aggiunge. La riforma dovrebbe arrivare nel 2023 o nel 2024. Ancora non è
chiaro ma, per Gori, «è importante iniziare a costruirla fin da subito, sui
territori». Proprio per questo il Patto per la non autosufficienza ha chiesto al
Governo di inserire nella Legge di bilancio, che conta circa 30 miliardi, anche
302 milioni di euro per finanziare già nel 2022 il servizio di assistenza
domiciliare (Sad). Il Sad è la componente più sociale dell’assistenza e viene
erogata dai Comuni a una quota molto limitata di anziani, l’1,3 per cento.
Misure integrate a domicilio
L’Assistenza domiciliare integrata (Adi), maggiormente diffusa, è invece la
parte più sanitaria, è erogata dalle aziende sanitarie locali e ha già ottenuto un
significativo aumento di fondi. In un documento il Patto per la non
autosufficienza chiede che i finanziamenti per il Sad siano aumentati, che l’Adi
venga riformata e che le due misure siano integrate, per «superare la
frammentazione» dei servizi che lascia disorientati anziani e famiglie. Nella
Legge di bilancio il Governo Draghi ha previsto solo 100 milioni dei 300
richiesti, ma il Parlamento, che deve approvare il provvedimento entro fine
anno, può cambiarlo.
«Se vogliamo una svolta serve un incremento rilevante di risorse.
Diversamente stiamo dentro a correttivi sul sistema esistente», commenta
Vecchi. «Cento milioni – spiega Gori – non bastano per avere un impatto su
tutto il territorio nazionale. Trecento sarebbero la cifra giusta per partire». Per
le organizzazioni del Patto per la non autosufficienza uno stanziamento
adeguato per il 2022 faciliterebbe poi il varo di una riforma più efficace,
capace di dare agli anziani non autosufficienti tutto ciò di cui hanno bisogno,
per il tempo necessario: dai servizi medico-infermieristico-riabilitativi al
sostegno nelle attività fondamentali quotidiane fino al supporto per familiari e
badanti.
«Puntare non su prestazioni monetarie ma su servizi che prendono in carico
le persone anche dal punto di vista sociale sarebbe utile per gli anziani non
autosufficienti, ma anche per quelli fragili», ragiona Bandera di Secondo
welfare. L’obiettivo dovrebbero essere dei servizi che si adeguano al percorso
dell’anziano e cercano di mantenere il più possibile la sua autonomia,
rimandando così l’arrivo della non autosufficienza. È uno degli aspetti su cui
sta lavorando Will, un progetto per innovare i sistemi di welfare locale al quale
Secondo welfare partecipa insieme alle amministrazioni di diversi capoluoghi
di provincia. Tra questi, vi è anche Reggio Emilia. «Dobbiamo immaginare –
conclude il sindaco Vecchi – una società che parta dai bisogni dei più deboli
per costruire la qualità della vita di tutti.
Bisogni e cura: perché sull’invecchiamento
dobbiamo giocare d’anticipo
L’attuale sistema di long term care non è in grado di rispondere alle
esigenze di una popolazione sempre più anziana, esposta alla perdita
dell’autonomia e all’infragilimento. Per affrontare le sfide che emergono
in questo ambito occorre agire nei territori attivando reti di attori
pubblici e privati, muovendo verso un “platform welfare” che permetta di
informarsi, acquistare e usare servizi usando strumenti digitali che
aggreghino domanda e offerta.
di Franca Maino
La pandemia, oltre ad acuire problemi noti, ha messo a disposizione del
nostro welfare fondi ingenti, aprendo la possibilità di realizzare una
modernizzazione del sistema e affrontarne le sfide più urgenti. Tra queste ci
sono l’invecchiamento e l’assistenza continuativa agli anziani.
Un sistema inadeguato
L’attuale sistema di long term care (LTC) si caratterizza per un ampio gap tra
bisogni e risorse disponibili, è organizzato per silos erogativi separati (sanità e
assistenza in primis), è basato su un target principale (anziani non
autosufficienti e privi di risorse) ma trascura le nuove fragilità che si
manifestano dai 70 anni e che necessiterebbero di essere prese in carico
precocemente per ritardare la perdita dell’autonomia, il rischio solitudine e
comorbilità. Inoltre alimenta disuguaglianze tra chi è in grado e chi no di
affrontare di tasca propria spese sempre più elevate a causa delle inefficienze
del welfare pubblico.
Il PNRR prevede alcune linee di finanziamento per gli anziani non
autosufficienti ma fondi modesti per prevenire la perdita dell’autonomia e
l’infragilimento. Tuttavia il Governo si è impegnato a riformare la LTC e oltre
40 organizzazioni (tra cui Secondo Welfare, ndr) si sono riunite in un Patto
che intende elaborare proposte, interloquendo con i Ministri di riferimento, per
non perdere l’opportunità di attuare tale riforma.
In questo quadro la sfida più grande è comprendere che l’anziano ha bisogno
di “care” già prima che l’età diventi un problema e/o la sua malattia cronica. In
questo senso serve mettere al centro i bisogni, costruendo una filiera di servizi
sempre più integrati che necessitano di nuove figure professionali e, quindi,
incentivano nuove opportunità lavorative.
Azioni territoriali di rete: verso un platform welfare
Questa sfida non può essere risolta con le sole risorse pubbliche e con i
servizi tradizionalmente offerti. Si tratta di agire nei territori con una forte
attivazione di attori in rete, assicurando che la regia dei processi rimanga in
mano ai Comuni e che la co-programmazione garantisca un adeguato
equilibrio nel ricorso alle competenze del Pubblico e del privato.
È ormai tempo di guardare alla “rivoluzione” dei modelli di servizio e di
consumo in atto in tutti gli ambiti della nostra vita – alimentazione,
intrattenimento, turismo – muovendo verso un “platform welfare” che permetta
di informarsi, acquistare e in parte consumare utilizzando strumenti digitali e
multicanale che aggreghino domanda e offerta: tema affrontato in un recente
volume curato con Francesco Longo per Egea. Sul fronte della domanda si
proverebbe a superare la situazione in cui ogni famiglia, sola con il proprio
bisogno, va alla ricerca di soluzioni individuali mentre l’offerta si svilupperebbe
intorno a servizi professionali ad alto valore aggiunto rivolti alla generalità
dell’utenza e competitivi rispetto al lavoro in nero.
Sono processi che andrebbero accompagnati da nuove logiche di affidamento
e contrattualizzazione dei servizi, passando dal finanziamento degli input
(numero di operatori e di ore) a un finanziamento erogato in base agli effettivi
risultati conseguiti, misurati secondo l’impatto sociale generato. Aggregazione
e ricomposizione sociale diventerebbero le leve per la costruzione di un nuovo
welfare per gli anziani, sempre che si disponga di piattaforme efficienti e si sia
capaci di generare una sufficiente massa critica di beneficiari.

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