LAVORO ED ORGANIZZAZIONE – Dopo la pandemia le aziende credono nello smart working

Dopo la pandemia le aziende credono
nello smart working


Secondo una ricerca di Variazioni, oltre la metà delle imprese è già
preparata alla fine del regime semplificato per il lavoro agile. Il 55% delle
aziende ha infatti predisposto un accordo o un regolamento interno che
stabilisce le regole dello smart working mentre il 39% vuole farlo farlo
entro fine agosto
di Valentino Santoni
Lo smart working semplificato è stato prolungato. Con l’approvazione del
protocollo tra le parti sociali sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dello
scorso 30 giugno, è prevista la la possibilità di attivare forme di lavoro agile
con il regime semplificato, senza la necessità di stipulare un accordo
individuale, fino al 31 agosto 2022. Tuttavia, se non ci sarà un’ulteriore
proroga – come chiesto dalle parti sociali – dal 1° settembre sarà necessario
tornare alle regole previste dalla Legge n. 81/2017.
Molte aziende stanno quindi iniziando a organizzarsi per non farsi trovare
impreparate alla fine del regime semplificato. Ma come si stanno attrezzando?
Per cercare di rispondere a questa domanda, la società di consulenza
Variazioni ha promosso un’indagine per comprendere come le imprese italiane
si stiano muovendo in tema di lavoro agile a seguito della pandemia.
Lo smart working e il punto di vista delle imprese
La ricerca di Variazioni (disponibile qui), realizzata attraverso un questionario
diffuso tra il 15 marzo e il 15 maggio, ha coinvolto circa 300 responsabili delle
risorse umane di organizzazioni private e pubbliche. Il campione è descritto
nella figura 1.
Dai risultati emerge che oltre la metà delle imprese intervistate si è già
organizzata per il futuro. Il 55% del campione, oltre ad aver introdotto
stabilmente lo smart working, ha adottato una policy che ne definisce le linee
guida generali per i lavoratori e l’azienda.
Circa il 39% dichiara l’intenzione di voler adottare il lavoro agile in modo
strutturale entro il 31 agosto, ma non lo ha ancora fatto; mentre solo il 6%
afferma di non voler proseguire con questa modalità lavorativa.
Tra chi ha già disciplinato e regolamentato lo smart working, oltre la metà non
lo aveva mai sperimentato prima della pandemia (figura 2). Quindi, la metà
circa delle imprese che si sono già attrezzate, predisponendo un accordo o un
regolamento aziendale per definire i criteri per attivare il lavoro agile, hanno
capito la sua rilevanza in termini organizzativi e per i lavoratori solo dopo
averlo sperimentato nel corso degli ultimi due anni.
Come fanno lavoro agile le imprese
Variazioni ha poi cercato di indagare le modalità con cui le aziende e i
lavoratori fanno smart working. In merito, la media ponderata dei giorni di
lavoro agile che le imprese “concedono” ai propri collaboratori è di 2,3 giorni
alla settimana. Solo il 36% delle organizzazioni intervistate lo limita a 1 o 2
giorni settimanali.
Un dato interessante riguarda poi il fatto che tendenzialmente il lavoro agile
riguarda tutti i lavoratori dell’azienda che svolgono compiti e mansioni
“remotizzabili”. “Se prima lo smart working coinvolgeva solo una parte dei
lavoratori, ora, sempre più spesso riguarda tutti” spiega Arianna Visentini,
CEO di Variazioni. Sono però ancora poche le aziende adottano un processo
realmente partecipativo, che partisse da un ascolto e analisi dei bisogni. “La
policy da sola infatti non basta” dice ancora Visentini “c’è ancora molto lavoro
da fare sotto il profilo culturale per accompagnare lavoratori e organizzazioni
verso una diffusione del vero lavoro agile, più partecipativo, responsabile e
competitivo, con notevoli impatti economici su aziende lavoratori e collettività”.
Per quanto riguarda gli spazi in cui svolgere l’attività lavorativa nelle giornate
di smart working, dall’indagine emerge che in quasi il 90% dei casi il lavoro
agile non è antitetico alla presenza in ufficio. Infatti 9 aziende su 10 che hanno
previsto delle policy offrono la possibilità per il lavoratore di recarsi in ufficio
anche nelle giornate stabilite per lo smart working. Si tratta di un passaggio
cruciale, perché permette di superare l’errata identificazione dello smart
working con l’home working tipico del periodo emergenziale.
Al tempo stesso il 65% delle imprese ha imposto limitazioni sui luoghi dove
scegliere di lavorare, soprattutto per ragioni di sicurezza delle persone e dei
dati. Alcune organizzazioni (il 18%) hanno previsto anche limitazioni anche in
termini di distanza chilometrica dalla sede di lavoro (per esempio il divieto di
lavorare dall’estero). Solo il 19% delle aziende non pone nessuna limitazione
di luogo.
Altro tema interessante è poi quello degli orari di lavoro e di reperibilità. Per il
38% delle organizzazioni intervistate il lavoro agile replica gli orari della
giornata di lavoro, mentre per il 23% non è previsto un orario fissato con
l’obbligo di reperibilità. Le altre invece optano invece per soluzioni intermedie
stabilendo delle fasce orarie di reperibilità quotidiana sotto le 8 ore.
Perché si fa smart working
La ricerca analizza infine quelle che sono le principali ragioni che portano le
aziende a introdurre lo smart working. Come sintetizzato dalla figura 3, la
motivazione principale (40% delle aziende intervistate) è quella di rispondere
ai bisogni della popolazione aziendale e migliorare il work-life balance
nell’ottica di trattenere e attrarre talenti.
La necessità di innovare modelli organizzativi è alla base della decisione per il
33% delle imprese, consapevoli che ciò comporta anche una ridefinizione
degli stili di leadership oltre ad un cambiamento profondo dei modi di lavorare.
Per l’11% il lavoro agile orienta l’organizzazione al futuro e alla transizione
digitale; mentre per il 10% si tratta di una scelta ancora dettata dalla tutela
della salute a causa del Covid. Solo il 3% vede lo smart working come uno
strumento per ridurre i costi aziendali.
Smart working, tra innovazione e benessere
Come mostra anche l’indagine di Variazioni, il lavoro agile resta dunque un
tema fortemente legato a quello dell’armonizzazione dei tempi di vita e di
lavoro e di conseguenza del welfare.
Questo è rilevante perché, come vi abbiamo raccontato di recente, sono
sempre di più le imprese che stanno iniziando a considerare il benessere delle
persone in azienda come un fattore di motivazione e retention. Le
organizzazioni stanno riflettendo sul tema della people centricity (per saperne
di più), anche come investimento per attirare (e tenere poi in azienda il più
possibile) i talenti.
C’è quindi una ritrovata attenzione verso i bisogni e le necessità dei lavoratori
e delle lavoratrici. Tanto che il loro benessere (ma anche quello delle loro
famiglie) diviene parte integrante del rapporto (e del contratto) di lavoro.
In questa direzione, lo smart working sembra divenuta una priorità, soprattutto
dopo la pandemia. La sperimentazione di un lavoro sempre più agile e “ibrido”
ha fatto infatti comprendere le potenzialità che ci sono dietro questo
strumento.
Ora sarà però cruciale trovare gli strumenti migliori per sostenerlo e rendere
facile la sua applicazione. Magari attraverso un sostegno “leggero” da parte
delle parti sociali e della contrattazione. Oppure promuovendo (e finanziando)
la formazione e la digitalizzazione. Ma, ovviamente, anche semplificando le
regole (come accaduto dalla pandemia fino ad oggi).
Se vi interessa approfondire queste tematiche, vi ricordiamo che lo scorso 14
luglio abbiamo organizzato il webinar “Flessibilità lavorativa tra welfare e
well-being. Il lavoro ibrido nel post-pandemia”, proprio per approfondire il tema
del lavoro agile e di quelle che sono le sue opportunità in termini di benessere
delle persone. L’incontro può essere rivisto a questo link.

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