ANALISI E COMMENTI – INTELLIGENZA ARTIFICIALE – Come l’intelligenza artificiale rivoluzionerà le assunzioni

Come l’intelligenza artificiale rivoluzionerà le
assunzioni


È il motore della ripresa del settore tecnologico. Perciò le aziende
cercano figure specializzate. Ecco come cambia il settore del recruiting
Dopo i licenziamenti dei mesi scorsi tornerà il sole nel tech, e lo farà
grazie all’intelligenza artificiale. È il pensiero di Pietro Novelli, country
manager di Oliver James, società di recruiting inglese con sede a Milano:
“Dietro alla digitalizzazione dei processi c’è la necessità di portarsi dietro i
professionisti giusti. Per questo la richiesta tornerà ad aumentare”.
Pro e contro dell’intelligenza artificiale
Eppure veniamo da una stagione che pare dire il contrario. “Ma i
licenziamenti sono stati spesso legati a questioni prettamente finanziarie –
riflette il manager, un passato in Anpal Servizi (azienda pubblica per la
formazione e il lavoro) -. A mancare non è la domanda, anzi: la traiettoria sarà
guidata dall’intelligenza artificiale. Potremmo trovarci a rivivere una fase simile
a quella della data science a metà del decennio scorso, ai tempi della prima
ondata di advanced analytics: le aziende assumevano per non restare
indietro nella corsa e anche un po’ perché faceva status, ma poi si
scopriva che non c’erano i database e il processo si arenava. Col tempo le
cose si sono assestate, e accadrà anche questa volta”.
Sull’intelligenza artificiale, la visione di Novelli non è monocromatica. “Quello
che è certo – riprende – è che stravolgerà completamente i processi di lavoro”.
Capire come, è un altro paio di maniche. “Accanto alla richiesta di
professionisti estremamente formati in settori come quello tecnologico, per
converso aumenterà anche quella di figure legate a compiti non
automatizzabili, come tutta l’area dei servizi alla persona”. Un fattore
raramente considerato è quello demografico, con il calo delle nascite che
si rifletterà nelle ricerche di lavoro: ma le società dovranno confrontarsi con il
volto oscuro dei codici. “Il tema dei cinquantenni che non potranno essere
riqualificati perché troppo distanti dalle nuove tecnologie è reale – nota il
dirigente -. In questo senso, si tornerà a parlare di un reddito universale.
Non chiamiamolo reddito di cittadinanza, per non dare alla questione una
coloritura politica”.

telligenza artificiale rivoluzionerà le
assunzioni


È il motore della ripresa del settore tecnologico. Perciò le aziende
cercano figure specializzate. Ecco come cambia il settore del recruiting
Dopo i licenziamenti dei mesi scorsi tornerà il sole nel tech, e lo farà
grazie all’intelligenza artificiale. È il pensiero di Pietro Novelli, country
manager di Oliver James, società di recruiting inglese con sede a Milano:
“Dietro alla digitalizzazione dei processi c’è la necessità di portarsi dietro i
professionisti giusti. Per questo la richiesta tornerà ad aumentare”.
Pro e contro dell’intelligenza artificiale
Eppure veniamo da una stagione che pare dire il contrario. “Ma i
licenziamenti sono stati spesso legati a questioni prettamente finanziarie –
riflette il manager, un passato in Anpal Servizi (azienda pubblica per la
formazione e il lavoro) -. A mancare non è la domanda, anzi: la traiettoria sarà
guidata dall’intelligenza artificiale. Potremmo trovarci a rivivere una fase simile
a quella della data science a metà del decennio scorso, ai tempi della prima
ondata di advanced analytics: le aziende assumevano per non restare
indietro nella corsa e anche un po’ perché faceva status, ma poi si
scopriva che non c’erano i database e il processo si arenava. Col tempo le
cose si sono assestate, e accadrà anche questa volta”.
Sull’intelligenza artificiale, la visione di Novelli non è monocromatica. “Quello
che è certo – riprende – è che stravolgerà completamente i processi di lavoro”.
Capire come, è un altro paio di maniche. “Accanto alla richiesta di
professionisti estremamente formati in settori come quello tecnologico, per
converso aumenterà anche quella di figure legate a compiti non
automatizzabili, come tutta l’area dei servizi alla persona”. Un fattore
raramente considerato è quello demografico, con il calo delle nascite che
si rifletterà nelle ricerche di lavoro: ma le società dovranno confrontarsi con il
volto oscuro dei codici. “Il tema dei cinquantenni che non potranno essere
riqualificati perché troppo distanti dalle nuove tecnologie è reale – nota il
dirigente -. In questo senso, si tornerà a parlare di un reddito universale.
Non chiamiamolo reddito di cittadinanza, per non dare alla questione una
coloritura politica”.

Dopo la pandemia
Ma come cambia il recruiting? Con Api, customer relationship management
(crm), strumenti sempre più avanzati di teleconferenza per i colloqui. “La
tecnologia spesso è presente nelle società che si occupano di
reclutamento, ma non viene sfruttata nel quotidiano, anche perché
cambiare pratiche consolidate nel caso di grandi gruppi richiede tempo. Può
sembrare paradossale, ma nel settore in tanti prendono ancora appunti col
taccuino durante i colloqui, per poi inserire i dati dei candidati nel software
gestionale solo in un secondo momento. Spesso, però, si inseriscono solo le
informazioni base: questo fa sì che ci si affidi molto alla competenza e alla
rete di relazioni del singolo recruiter. Con le conseguenze immaginabili
quando questo cambia azienda”, dice Novelli.
Fattori culturali rendono le procedure di selezione molto differenti a seconda
dei Paesi. Nel Regno Unito, per esempio, la legge vieta fotografie e
indicazione dell’età nei curriculum, al fine di evitare discriminazioni. “Il
recruiting nasce in Gran Bretagna, dove è un settore molto competitivo e
fondato sui dati – riprende Novelli -. In Italia, di contro, conta parecchio la
relazionalità”.
In un contesto così fluido come quello tecnologico, dove le aziende si sfidano
a colpi di bonus e gli stipendi sono di gran lunga superiori alle medie di
mercato, la creatività è essenziale per crearsi un bacino di potenziali profili da
proporre ai clienti. “Per stare al gioco bisogna essere pronti. Non tutte le
posizioni sono pubblicizzate sui social network e, in caso di necessità,
tipicamente le società provano in primis a fare da sé, esaurendo una porzione
rilevante del tempo che hanno a disposizione per colmare il vuoto in organico.
Il risultato è che quando gli uffici delle risorse umane si rivolgono a noi, hanno
necessità di trovare la persona giusta molto rapidamente”, dice Novelli. Per
questo, oltre alla digitalizzazione, aiutano i vecchi metodi offline. Vale tutto.
Compresi i tornei di biliardino, con le sfide all’ultima pallina a far da
catalizzatore. Non solo, aggiunge il manager: “Mettiamo gratuitamente i nostri
spazi a disposizione per organizzare i meet- up tecnologici, incontri in cui i
professionisti si ritrovano periodicamente per aggiornarsi. In questo modo,
entriamo in contatto con loro e cominciamo a costruire una relazione”.
Nel tech? Contrattazione alla pari
Novelli conferma che esiste una frattura tra posizioni lavorative
estremamente ricercate e le altre. Dinamiche completamente differentigovernano la contrattazione, che, per quanto riguarda la tecnologia, ormai
avviene da posizioni paritetiche. “Alcuni professionisti nell’ambito tech non
valutano nemmeno un’opportunità se non è full remote”, afferma. E aggiunge:
“In generale, rispetto al passato, nei candidati tech notiamo grande attenzione
sulla formazione che si riceverà una volta assunti e la qualità del progetto
aziendale: non basta più il grande nome ad attrarre un professionista, nel
lavoro si cerca la sfida intellettuale. E questo un tempo si vedeva molto
meno”. Il percorso di un neolaureato segue una traiettoria standard, che
spesso parte dalle società di consulenza, viste come viatico necessario per
farsi le ossa. Dice Novelli: “Possono essere definite un fattore abilitante.
Sapere che una persona ci ha lavorato consente di essere certi che conosce
determinate metodologie. Insomma, aiutano a costruirsi un curriculum, anche
se molti passano da lì nella fase iniziale della carriera per poi orientarsi su
altro: la percentuale è attorno al cinquanta per cento, anche perché gli orari di
lavoro sono lunghi, e la vita privata oggi occupa una posizione molto
importante nelle priorità di chi cerca un impiego”.
Parla il senatore che si è fatto scrivere un
intervento in aula da ChatGPT
La provocazione dell’esponente di Azione-IV Marco Lombardo, che
rilancia: “È adesso che bisogna parlarne”
“L’intervento da me appena concluso non è frutto del mio lavoro, ma quanto
prodotto dell’intelligenza artificiale, per la prima volta in aula del Parlamento
italiano prende voce un algoritmo”. Si è concluso così, nell’aula di Palazzo
Madama, l’intervento del senatore di Azione-Iv Marco Lombardo, che
prendendo la parola in merito sul disegno di legge di ratifica degli accordi
Italia-Svizzera sui lavoratori frontalieri, ha letto un intervento scritto
interamente da ChatGPT. Durante l’intervento, nessuno tra i suoi colleghi si è
accorto di nulla (va detto che questo accade molto spesso, anche quando i
discorsi sono scritti dagli stessi senatori con penna a sfera su carta, ndr).
La provocazione
La provocazione del senatore punta a spostare l’attenzione delle istituzioni su
un’evoluzione tecnologica che se presa sottogamba potrebbe provocare
rischi, ma che presenta anche enormi opportunità. E non è un caso che di
intelligenza artificiale si sta discutendo anche alla Camera dei Deputati, doveun comitato presieduto dalla vicepresidente della Camera, Anna Ascani, ha
dato il via a un ciclo di audizioni per raccogliere informazioni per
regolamentare gli algoritmi.
“È da un pò che mi occupo di questi temi, mi hanno sempre appassionato gli
algoritmi digitali – spiega Lombardo – li studiavo già quando ero assessore al
lavoro e all’economia del comune di Bologna: fummo i primi a stipulare la
carta dei lavori digitali. La provocazione nasce perché ho trovato abbastanza
surreale che anche di fronte all’appello lanciato dagli stessi fondatori della
tecnologia e dopo quello che è accaduto recentemente in Usa (dove, durante
un’udienza, un avvocato ha citato precedenti inesistenti prodotti dall’AI), il
Parlamento italiano non cogliesse il tema. Ho così deciso di far intervenire
direttamente l’AI in aula, scegliendo un tema non divisivo come potrebbero
essere gli armamenti o il ponte sullo Stretto, ma soprattutto non su un tema
digitale, perché volevo far capire che l’applicazione di questo algoritmo
non riguarda solo la transizione digitale. Mentre il settore Educational si
interroga su come capire se un compito in classe o una tesi di laurea è
prodotta con l’AI o è frutto della mente dello studente, mentre il mondo
assicurativo e quello economico ormai utilizzano da tempo gli algoritmi, volevo
far capire che la politica non può essere esente”.
Come è stato creato l’intervento
L’intervento di Lombardo è stato ‘scritto’ da ChatGPT 4 e il processo è stato
validato da Engineering, che ha certificato che sul testo non c’è stato nessun
intervento manipolato da parte dell’uomo. Sulla piattaforma sono stati
caricati il disegno di legge e gli interventi del gruppo alla Camera e al
Senato. “Ne è uscito un testo coerente – continua il senatore – perché con le
informazioni che abbiamo fornito all’algoritmo il ‘flusso di pensieri’ non poteva
discordare da quelli che erano i concetti che volevamo esprimere. L’unico
problema, che però non ho corretto per mostrare i limiti del sistema, è quello
del telelavoro, perché ChatGPT non è aggiornato e non dispone di
informazioni sull’ultima negoziazione. Non sono intervenuto sul testo
perché volevo che i colleghi si chiedessero se si sarebbero mai accorti che
non fosse stato scritto da un uomo ma da una macchina, da un sistema che
un domani potrebbe alterare il processo democratico”.
Il tema di fondo è la consapevolezza: se alcuni settori economici stanno già
sfruttando le potenzialità dell’algoritmo per ottimizzare cicli produttivi,
preoccupa che il legislatore non abbia percezione della rivoluzione in corso.Dopo l’intervento di Marco Lombardo molti dei suoi colleghi presenti erano
disorientati, non hanno capito cosa era accaduto, neanche quando lui lo
ha spiegato. E questo dovrebbe far riflettere sull’impreparazione di quasi tutta
la classe politica rispetto a queste nuove tecnologie.
“Il problema – spiega ancora Lombardo – è che oggi bisogna discutere di
queste cose: è oggi che l’Europa sigla accordi con gli USA sull’uso
consapevole dell’AI e noi non possiamo rimanere indietro come legislatori. C’è
un evidente rischio sull’alterazione dei processi decisionali e sull’utilizzo
manipolato dell’AI nella diffusione di informazioni false o di propaganda. È un
altro degli aspetti che entra nello spazio della decisione politica. E poi,
ovviamente, ci sono le opportunità: se noi dobbiamo andare a legiferare sulle
politiche del lavoro, come facciamo a non considerare il fatto che oggi molti di
loro operano su piattaforme digitali che avranno sempre più a che fare con
algoritmi? È quello che di cui mi sono occupato anche in con la “Carta dei
Diritti Fondamentali dei Lavoratori Digitali”. Lì ci siamo chiesti: ‘e se gli
algoritmi hanno applicazioni discriminatorie?’. Oggi questo vale per esempio
per i modelli assicurativi, quando le analisi predittive prodotte con gli algoritmi
generano modelli discriminatori su una certa parte della popolazione che poi
non viene assicurata. Il nostro compito è impedire che questo accada”.
Le aziende devono valutare i rischi dell’intelligenza
artificiale
È quanto voluto dal Parlamento europeo, che ha introdotto questa novità
in vista del voto finale dell’Ai Act, il pacchetto di regole comunitarie sugli
algoritmi
Nel processo legislativo europeo che porta un’idea a diventare una legge,
come nel caso dell’Ai Act, per regolamentare l’intelligenza artificiale, ci sono
diversi passaggi. Volendo essere concisi, funziona in questo modo: la
Commissione europea – il braccio operativo dell’Unione europea – scrive la
proposta e da quel momento il Parlamento europeo, l’organo legislativo
direttamente eletto dai cittadini, e in parallelo il Consiglio, formato dai capi di
stato e di governo, aggiungono, modificano, cancellano, parti del testo
proposto offrendo la propria versione. Infine, le tre istituzioni iniziano il trilogo,
in cui si confrontano per produrre una versione finale su cui ci sia l’unanimità.L’11 maggio la commissione Imco-Libe del Parlamento europeo ha votato a
favore degli emendamenti al testo della proposta dell’Ai Act, il futuro
regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, su cui ci sarà il voto finale a
Strasburgo, probabilmente il 14 giugno. Da quel momento inizieranno i
triloghi, che si auspica finiranno entro la fine della legislatura, prima delle
elezioni previste tra il 6 e il 9 giugno 2024.
Le novità del Parlamento europeo
Delle diverse novità introdotte dal Parlamento, ce n’è una degna di nota e
che sarà il vero terreno di scontro nelle trattative finali tra Parlamento e
Consiglio: si tratta della valutazione d’impatto sui diritti fondamentali.
Al momento, prevista dall’articolo 29a della proposta del Parlamento, prevede
un nuovo obbligo per i casi di intelligenza artificiale ad alto rischio. Si
stabilisce dunque che, prima ancora che una Ai ad alto rischio sia messa sul
mercato, l’azienda debba preparare una valutazione di impatto sui diritti
fondamentali, che presenti almeno alcuni elementi essenziali. Questi
comprendono lo scopo per cui sarà usata, l’area geografica in cui verrà
impiegata e per quanto tempo; quali saranno le categorie di persone, inclusi
i gruppi, che potrebbero essere danneggiati dall’adozione di questi sistemi; la
verifica che il sistema rispetti le norme nazionali ed europee sui diritti
fondamentali; il prevedibile impatto che i sistemi avranno sui diritti
fondamentali e i rischi specifici che potrebbero riscontrarsi per i gruppi più
vulnerabili e marginalizzati, nonché il prevedibile impatto di questi sistemi
sull’ambiente. Una volta elencati i rischi, occorrerà identificare in modo
dettagliato le possibili contromisure per prevenire e limitare questi rischi,
con particolare attenzione al modo in cui il sistema sarà gestito, al modo in cui
funzionerà la supervisione umana e in cui l’utente si potrà opporre a tali usi e
potrà far valere i propri diritti.
Se questo piano dettagliato non potrà essere presentato, l’Ai non potrà
essere immessa sul mercato e, se già lo fosse, andrà ritirata. Nel caso in cui
si tratti di una Ai utilizzata da un’autorità pubblica, dovrà essere inserita in un
registro tenuto dalla Commissione, in cui sarà inserito un riassunto della
valutazione di impatto.
Una intelligenza artificiale partecipata
L’altro obbligo, con l’eccezione per le startup per cui è solo raccomandato,
sarà quello di notificare l’inizio della valutazione alle autorità nazionaliincaricate di supervisionare il rispetto dell’Ai Act, agli stakeholder coinvolti e,
sicuramente la novità più significativa, ai rappresentanti delle parti più
deboli. Questo vuol dire che, ai fini della compilazione della valutazione di
impatto, l’azienda dovrà coinvolgere associazioni dei consumatori, parti
sociali come i sindacati, il Garante della privacy, per tenere conto di tutte le
possibili conseguenze che l’Ai potrebbe avere nei confronti delle parti più
deboli. Le parti coinvolte avranno sei settimane per rispondere e portare i
propri rilievi. Ciò non toglie, ovviamente, che il dialogo possa protrarsi oltre,
ma tutto dipenderà dalla volontà, caso per caso, di avere un confronto
costruttivo con tutte le parti coinvolte.
È d’accordo con l’impostazione del Parlamento Gianclaudio Malgieri,
professore dell’università di Leiden, autore del libro Vulnerability and data
protection law: “La proposta del Parlamento europeo sul Fundamental Right
Impact Assessment va nella direzione giusta per molti motivi. Una nota
degna di menzione è il riferimento ai soggetti vulnerabili (sia come gruppi che
come individui) su cui il fundamental rights impact assessment deve
concentrarsi. Il problema sarà concretizzare questi principi, ma lo sforzo
dovrà essere collettivo (accademia, istituzioni e società civile) nel fornire
modelli chiari e misurabili per valutare e mitigare gli effetti sui diritti
fondamentali”.
Il legame con il Gdpr
Se ancora non esiste uno standard per produrre questa valutazione di impatto
sui diritti, è pur vero che questo tipo di valutazioni non sono nuove per chi si
occupa di dati personali. Già il Gdpr, che in questi giorni festeggia il suo
quinto compleanno, prevede una valutazione di impatto sui dati personali,
obbligatoria ogni qualvolta un’azienda usi una tecnologia innovativa che possa
mettere a rischio i diritti dei soggetti i cui dati sono trattati. In tal caso si stila
un elenco dei rischi possibili, in una griglia da basso ad alto rischio, e per
ogni rischio si prevede una misura che possa moderarne l’entità. Nel caso in
cui i rischi dovessero restare ad un livello ancora alto, l’azienda dovrà
chiedere un consulto al Garante della privacy e, qualora neanche questi
potesse fornire ulteriori indicazioni utili, il sistema non potrà essere utilizzato.
La forma è libera e non c’è un obbligo di legge di sentire le possibili parti
coinvolte, ma sicuramente può aiutare a dimostrare che la valutazione non si
ferma alla pura teoria. La proposta del Parlamento prevede poi che questi due
documenti andranno presentati insieme, confermandone lo stretto legame.Dalla teoria alla realtà
Questa novità introduce un passaggio importante, oltre che necessario, visto
che, diversamente, sarebbe difficile per un’azienda dimostrare di avere preso
in considerazione l’impatto sulle persone vulnerabili, in assenza di un reale
loro coinvolgimento. Resterà da capire come decidere quali associazioni
dovranno essere coinvolte, da caso a caso, e se di fatto esisteranno
associazioni in grado di rappresentare le categorie che devono essere
tutelate. Potrebbe dunque essere necessario che gli stati e l’Unione europea
si prendano in carico di sostenere, con fondi dedicati, le associazioni della
società civile per favorirne il potere di rappresentanza a livello nazionale ed
europeo. Si potrebbe pensare a un elenco pubblico delle associazioni più
rappresentative che le aziende potranno contattare per la valutazione
d’impatto.
L’adozione di standard condivisi sarà poi necessaria per aiutare startup e
pmi che vogliano usare sistemi di Ai ad alto rischio e che, pur potendo
chiedere informazioni e documentazione alle aziende fornitrici, dovranno
essere in grado di comprenderle per fare la valutazione. Si è pensato che
le eccezioni per le statup dovessero essere totali ma ciò favorirebbe una
deresponsabilizzazione delle stesse. Se è vero che potrebbe essere molto
difficile per una startup fare questa valutazione, dovendo magari reperire
risorse specializzate per farlo, con il conseguente onere economico, è
altrettanto vero che una esenzione totale faciliterebbe la diffusione di Ai ad
alto rischio senza prendersi in carico i possibili effetti discriminatori sulle
persone.
Il bilanciamento dei diversi interessi in gioco non sarà facile, ma il testo che
passerà a giugno dal Parlamento offrirà sicuramente un primo importante
punto di partenza per il confronto successivo tra le diverse istituzioni che
dovranno trovare quel bilanciamento.
Perché l’intelligenza artificiale riesce a trovare
nuovi farmaci così rapidamente
L’esempio in uno studio pubblicato su Communications Chemistry
L’intelligenza artificiale (Ai) è uno strumento prezioso per aiutarci a trovare
rapidamente nuovi farmaci. Basta pensare che solo pochi giorni fa unalgoritmo dell’Ai è riuscito a identificare in sole due ore un potente antibiotico
contro uno dei batteri resistenti ai farmaci più pericolosi al mondo. E oggi, a
tornare sull’argomento è una nuova ricerca, coordinata dall’Ohio State
University, che ha confermato nuovamente come l’Ai possa aiutare la
comunità scientifica a trovare farmaci migliori e più potenti, accelerando
notevolmente il loro processo di sviluppo. Lo studio è stato appena pubblicato
sulla rivista Communications Chemistry.
Oggi la maggior parte della ricerca di farmaci capaci di trattare le malattie
richiede anni e anni di lavoro: viene, infatti, effettuata da chimici che fanno
affidamento sulla loro conoscenza per selezionare e sintetizzare le giuste
molecole necessarie per diventare i farmaci sicuri ed efficienti di cui abbiamo
bisogno. Per identificare i percorsi di sintesi, inoltre, viene spesso utilizzata
una tecnica chiamata retrosintesi, o analisi retrosintetica, un metodo per
creare potenziali farmaci lavorando a ritroso dalle molecole desiderate e
cercando le reazioni chimiche per produrle.
Lo studio
Per ridurre l’enorme mole di lavoro che serve per analizzare milioni di
potenziali reazioni chimiche, i ricercatori hanno creato un’ intelligenza
artificiale, chiamata G2Retro, capace di generare automaticamente reazioni
chimiche per una specifica molecola. Non solo: è stata anche in grado di
individuare in modo accurato e rapido quali reazioni potrebbero funzionare
meglio per creare una determinata molecola di farmaco. “Il nostro obiettivo
era utilizzare l’intelligenza artificiale per accelerare il processo di sviluppo dei
farmaci e abbiamo scoperto che non solo fa risparmiare tempo e denaro, ma
fornisce farmaci candidati che potrebbero avere proprietà migliori rispetto a
qualsiasi molecola esistente in natura”, ha commentato l’autrice dello studio
Xia Ning.
In particolare, il team di ricerca ha addestrato G2Retro su un set di dati
contenente 40mila reazioni chimiche. Una volta pronto, si serve poi di reti
neurali profonde per generare possibili strutture reagenti che potrebbero
essere utilizzate per sintetizzare le molecole. Il suo potere è così
impressionante, affermano i ricercatori, che una volta data una molecola,
G2Retro potrebbe elaborare centinaia di nuove previsioni di reazioni chimiche
in pochi minuti. Successivamente, i ricercatori hanno svolto un case report per
testare se G2Retro riuscisse a prevedere con precisione quattro farmaci,
dimostrandosi in grado di generare correttamente esattamente le stesse vie disintesi brevettate per questi medicinali e fornendo, inoltre, vie di sintesi
alternative.
Ovviamente, i farmaci che G2Retro o qualsiasi altra intelligenza artificiale
crea devono essere convalidati, ossia sottoposti a processi in cui le molecole
vengono testate in modelli animali e successivamente in studi clinici. “Il nostro
metodo di intelligenza artificiale è in grado di fornire molteplici percorsi e
opzioni di sintesi diversi”, ha concluso Ning. “Questo non sostituirà gli attuali
esperimenti di laboratorio, ma offrirà maggiori e migliori opzioni di farmaci in
modo che gli esperimenti possano avvenire molto più velocemente”

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