IMPRESE E LA LORO GESTIONE – Welfare aziendale e come renderlo a misura di PMI

Welfare aziendale, come renderlo a misura
di PMI

di Barbara Weisz

Welfare aziendale come previdenza privata: la contrattazione di
secondo livello penalizza le PMI, anche un legame con il territorio
farebbe da volano
Una semplificazione normativa al meccanismo che lega il welfare aziendale
ai premi di produttività e lo sviluppo del welfare territoriale prendendo esempio
da buone pratiche emerse nel corso della pandemia: sono due elementi che
potrebbero rendere queste pratiche più a misura di PMI, in base ai dati
contenuti nell’ultimo Bilancio del sistema previdenziale italiano, realizzato dal
Centro Studi di Itinerari Previdenziali.
Il welfare aziendale in Italia
Il welfare aziendale, regolato principalmente da norme contenute nelle leggi di
Bilancio 2016, 2017 e 2018, riguarda essenzialmente il mondo del lavoro
dipendente. Non è una vera e propria forma di previdenza ma spesso fra i
benefit previsti ci sono forme di assicurazione o di previdenza complementare
privata. Dunque, è una forma di welfare privato che consente di trasformare
parte dello stipendio in beni e servizi fiscalmente agevolati (sono esentasse e
non si pagano contributi).
Premi, benefit e servizi
Poggia in buona parte (ma non solo) sull’utilizzo dei premi di produttività.
Nella pratica, si prevede la convertibilità di una parte del premio in beni e
servizi di welfare aziendale. Gli strumenti più diffusi:
● contributi a forme di assistenza sanitaria integrativa;
● buoni pasto;
● finanziamento dei costi individuali per trasporto collettivo e
trasposto pubblico locale;
● accesso a beni e servizi con finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e culto;
● servizi di istruzione e educazione;
● compartecipazione ai costi per l’assistenza a familiari anziani e/o
non autosufficienti;
● contribuzione del datore a forme di assistenza o assicurazioni
LTC o per gravi patologie;
● contributi a previdenza complementare;
● flexible e fringe benefit (tra cui carte carburante o auto aziendali,
non necessariamente ricompresi nella definizione di welfare).
Secondo un’indagine AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), i
benefit più apprezzati sono, nell’ordine: servizi per l’infanzia e l’educazione;
flexible benefit e soluzioni per il tempo libero; sanità integrativa; trasporto
pubblico; assistenza per familiari anziani o non autosufficienti; previdenza
complementare; contributi e premi per LTC e patologie gravi.
Welfare e produttività: PMI penalizzate
Il legame con i premi di produttività è uno degli elementi che possono
rappresentare un ostacolo alla diffusione nelle PMI. I premi di produttività sono
infatti legati a contratti collettivi aziendali o territoriali, che vanno controfirmati
da rappresentanze datoriali e sindacati, spesso non presenti nelle aziende
piccole o medio piccole, che pure costituiscono la gran parte delle realtà
produttive italiane. Risultato: si tratta di un elemento che, come si spiega nel
report, «riduce enormemente la diffusione dello strumento rispetto alle sue
effettive potenzialità soprattutto in tema di riduzione del cuneo fiscale».
Quindi, la normativa meriterebbe «una semplificazione per venire incontro ai
datori di lavoro e, conseguentemente, ai tanti lavoratori interessati».
I numeri del welfare aziendale in Italia
La scarsa diffusione è dimostrata dai dati del Ministero del Lavoro, in base ai
quali al momento sono circa 9mila i contratti collettivi che si propongono di
raggiungere obiettivi di produttività e 5mila quelli che prevedono forme di
partecipazione del datore di lavoro a misure di welfare aziendale. I settori
maggiormente coinvolti sono l’industria al 47% e i servizi al 27%, mentre
questi contratti sono poco presenti negli studi professionali (2%) e
nell’agricoltura (1%).
L’impatto Covid
Altri dati, contenuti nel consueto report Welfare Index PMI, dimostrano come
le piccole e medie imprese durante la pandemia Covid si siano attivate sul
fronte del welfare aziendale, concentrandosi sui seguenti servizi: tamponi e
test sierologici (43,8%); formazione e webinar (39%); aumenti temporanei
della retribuzione e copertura cassa integrazione (38,2%); potenziamento
della flessibilità e permessi (35,8%); polizze sanitarie (25,7%); Assistenza
psicologica o sanitaria a distanza (21,3%).
Il welfare territoriale e le PMI
«Uno sviluppo strutturale del welfare aziendale in una nazione come l’Italia,
caratterizzata da un tessuto produttivo e di servizio di piccole e piccolissime
imprese – sottolinea Itinerari Previdenziali -, richiede la creazione di contesti
territoriali aggregativi idonei a fungere da hub per la messa in comune delle
forze e l’erogazione dei servizi».
In pratica, lo sviluppo del welfare territoriale (per cui si registrano già
interessanti esperienze) farebbe da volano per la crescita del welfare
aziendale, e viceversa. «Una buona cultura del welfare nei luoghi di lavoro e
una richiesta sempre maggiore in tal senso funge infatti da stimolo per le
singole imprese per consentire a tutto il tessuto produttivo di accedere a
questo welfare di prossimità, con effetti maggiormente ritagliati sull’esigenza
specifica e incisivi per il territorio di riferimento».
Anche in vista dell’utilizzo dei fondi del PNRR, si possono pensare strategie
che coinvolgano, insieme alle aziende, altri attori del welfare come le
fondazioni bancarie o le casse di previdenza dei professionisti.

FONTE – PMI.IT

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