CREDITO ED INCENTIVI – Un codice unico degli incentivi per le imprese

Un codice unico degli incentivi per le
imprese


di Cinzia De Stefanis
Digitalizzazione, modernizzazione e sburocratizzazione degli incentivi.
Valorizzazione del Registro nazionale degli aiuti di Stato e della piattaforma
telematica «Incentivi.gov.it». Creazione di un codice degli incentivi che
contenga, tra l’altro, un insieme definito, limitato e ordinato di modelli
agevolativi. E non solo. Bisogna, inoltre, evitare sovrapposizioni inutili tra
agevolazioni del Governo e delle Regioni, comprese quelle finanziate con
fondi europei. E’ questo il perimetro in cui si muove la bozza di disegno di
legge sulla revisione del sistema degli incentivi alle imprese, su cui è al lavoro
il Mimit e all’esame del Consiglio dei Ministri di oggi 23 febbraio 2023.
Ma andiamo con ordine.
Emanazione decreti legislativi – La legge delega il governo ad adottare, entro
ventiquattro mesi , uno o più decreti legislativi per la definizione di un quadro
organico degli incentivi finalizzati, come si legge all’articolo 3 della bozza, da
un lato, a far fronte agli specifici fallimenti del mercato e dall’altro lato, per
stimolare la crescita. Questi decreti dovrebbero abrogare le disposizioni
vigenti (ma si dovrà comprendere quali e coordinarli) e dovrebbero
razionalizzare l’offerta di incentivi, individuando un insieme definito, limitato e
ordinato di modelli agevolativi.
Piattaforma degli incentivi – Viene prevista una “pubblicità legale” delle misure
di incentivo, da garantire attraverso la pubblicazione nella piattaforma
«Incentivi.gov.it». ma anche attraverso la pubblicazione nei siti istituzionali
delle amministrazioni competenti nonché la pubblicazione sintetica dei
provvedimenti agevolativi nella Gazzetta ufficiale. Un obiettivo dichiarato della
legge delega è anche la digitalizzazione e la semplicità delle procedure di
ammissione agli incentivi, al fine di “alleggerire…il carico burocratico degli
imprenditori”.
Codice degli incentivi – Un’ altra finalità dei decreti legislativi sarà anche quello
di far nascere un “codice degli incentivi”, con l’obiettivo di armonizzare la
disciplina di carattere generale. . Il codice dovrà seguire alcuni principi e criteri
quali:
● definire i contenuti minimi dei bandi, delle direttive o dei provvedimenti
ivi compresa la disciplina del cumulo delle agevolazioni nel rispetto dei
massimali fissati dalle normative europee;
● semplificare i procedimenti amministrativi di concessione ed erogazione
dell’incentivo e contenere i tempi della pubblica amministrazione (per
quanto riguarda la gestione delle pratiche);
● nonché semplificare le procedure in materia di controlli nei confronti
delle imprese beneficiarie.
Stipula protocolli – Al fine di semplificare e accelerare le procedure di
concessione e di erogazione delle agevolazioni, le amministrazioni titolari di
interventi di incentivazione per le imprese e quelle competenti per il rilascio di
certificazioni funzionali ai controlli sui requisiti per l’accesso e la fruizione delle
agevolazioni medesime promuovono la stipula di protocolli volti a consentire il
rilascio accelerato delle certificazioni, anche attraverso modalità di
acquisizione e gestione massiva delle richieste. In via sperimentale, per le
predette finalità, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, il Ministero delle imprese e del made in Italy definisce con il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istituto nazionale della
previdenza sociale (Inps), nonché con il Ministero dell’interno, protocolli
operativi per l’accelerazione delle procedure di rilascio, rispettivamente, del
documento unico di regolarità contributiva (Durc).
Principi ispiratori della riforma – La legge delega definisce, all’articolo 2, quali
sono i principi ispiratori della riforma affinché si possa realizzare un corretto
funzionamento delle politiche di incentivazione. Un primo principio è quello
della ricognizione e sistematizzazione degli strumenti agevolativi esistenti,
sulla base di criteri che tengano conto degli ambiti o delle finalità
dell’agevolazione, quali il sostegno agli investimenti, alla ricerca e allo
sviluppo, alla formazione, all’innovazione, nonché la facilitazione nell’accesso
al credito delle imprese, il rafforzamento patrimoniale delle stesse o altri ambiti
e finalità del sostegno. Un secondo principio, è quello della concentrazione
dell’offerta di incentivi, diretta ad evitare la sovrapposizione tra gli interventi e
la frammentazione del sostegno pubblico.
INL: il permesso di soggiorno per studio o
formazione professionale consente di
svolgere tutte le attività di tirocinio
di Salvatore Cortese
Il cittadino straniero presente sul territorio italiano con un titolo di soggiorno in
corso di validità (per studio o formazione professionale) può svolgere tutte le
attività di tirocinio curriculare e non curriculare.
È questo, in sintesi, quanto espresso nella Nota n. 320 del 14 febbraio 2023,
non ancora pubblicata sul proprio sito ufficiale, con cui l’Ispettorato Nazionale
del Lavoro (INL) ha fornito chiarimenti in merito all’utilizzo del permesso di
soggiorno per studio o formazione professionale in relazione alle attività
lavorative rese nell’ambito di un tirocinio formativo.
L’Ispettorato, in particolare, è intervenuto per chiarire se il permesso per
studio o formazione professionale consenta di svolgere tutte le attività di
tirocinio curriculare previste dal corso di studi o formazione professionale per
cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno e se lo stesso consenta, inoltre,
di svolgere anche attività di tirocinio non curriculare, finalizzato all’inserimento
lavorativo, entro gli stessi limiti in cui è consentito lo svolgimento di attività di
lavoro subordinato ex art. 14, comma 4, D.P.R. n. 394/1999, in base al quale
“Il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione consente, per il
periodo di validità dello stesso, l’esercizio di attività lavorative subordinate per
un tempo non superiore a 20 ore settimanali, anche cumulabili per
cinquantadue settimane, fermo restando il limite annuale di 1.040 ore”.
Chiarimenti INL – Nel documento di prassi viene preliminarmente ricordato
che la normativa nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di
orientamento, per un generale principio di parità di trattamento, trova
applicazione anche ai cittadini non appartenenti all’Unione europea,
consentendo anche ai cittadini provenienti da Paesi extra-Ue di usufruire dei
percorsi di tirocinio come strumenti formativi e orientativi finalizzati
all’inserimento lavorativo.
La legge, tuttavia, distingue tra l’ipotesi di tirocinio da instaurarsi con un
cittadino extra-comunitario regolarmente soggiornante in Italia – ad esempio,
come nel caso in esame, con permesso di soggiorno rilasciato per motivi di
studio – da quello in cui lo stesso rapporto si debba instaurare con un
cittadino extra-Ue che si trova all’estero.
Secondo la disposizione di cui all’art. 2 del D.M. n. 2/2006, infatti, “ai cittadini
non appartenenti all’Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia si
applica, integralmente la normativa regionale vigente in materia di tirocini
formativi e di orientamento o, in difetto, la regolamentazione contenuta nel
decreto ministeriale 25 marzo 1998, n. 142…”, diversamente dall’ipotesi di cui
all’art. 3 dello stesso decreto relativa ai “cittadini non appartenenti all’Unione
europea (…) residenti all’estero” nei confronti dei quali “trova applicazione
l’articolo 40 comma 9, lettera a), del decreto del D.P.R. n. 394/1999 per come
modificato dall’art. 37 del D.P.R. n. 334/2004.
Ebbene, qualora il cittadino straniero sia già presente sul territorio italiano con
un titolo di soggiorno in corso di validità (per studio o formazione
professionale), l’INL ritiene che lo stesso possa svolgere tutte le attività di
tirocinio curriculare previste dal corso di studi o formazione professionale per
cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno in quanto rientranti nelle finalità
per le quali il permesso di soggiorno è stato rilasciato.
Analogamente lo straniero entrato in Italia con permesso di soggiorno per
motivi di studio o formazione potrà svolgere, nel rispetto dei presupposti
previsti dalla normativa regionale, un’attività di tirocinio non curriculare,
compatibilmente con l’espletamento del percorso di studio o formazione
professionale sotteso al rilascio del titolo di ingresso, a nulla rilevando, per
tale ipotesi – che non costituisce rapporto di lavoro – i limiti in cui è consentito
lo svolgimento di attività di lavoro subordinato ex art. 14, comma 4, D.P.R. n.
394/1999.
Ricerca e sviluppo: credito “non spettante”
o “inesistente”?
di Giulio Bartoli
In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente,
l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma
16, del DL n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l’utilizzo
non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”,
per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo
periodo, del DLGS n. 471/1997 (introdotto dall’art. 15 del DLGS n. 158/2015) –
il credito in relazione al quale risulti mancante, in tutto o in parte, il
presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza
non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR
n. 600/1973 e all’art. 54-bis del DPR n. 633/1972.
Ne consegue che qualora l’Ufficio non contesti la sussistenza dei costi esposti
e documentati, ma la mancanza di prova circa l’effettiva correlazione di tali
costi ad una attività di ricerca e sviluppo, il credito d’imposta non può essere
qualificato come “inesistente” bensì solo, eventualmente, come “non
spettante” con conseguente inutilizzabilità del termine ottennale alla
fattispecie e la conseguente decadenza dell’Ufficio dal potere di verifica e
impositivo.
Così statuisce la Corte di Giustizia Tributaria di II° grado del Veneto, sezione
3, con la sentenza n. 15/2023 depositata in data 4/01/2023 (Presidente:
Tenaglia; Relatore: Guarda).
L’Agenzia delle entrate notificava ad una società un atto di recupero del
credito con il quale, in seguito ad una verifica effettuata nei confronti della
stessa, veniva contestato l’utilizzo di documenti non contenenti sufficienti
elementi per suffragare l’esecuzione di un progetto di ricerca, e quindi
recuperato il credito di imposta utilizzato nell’anno di imposta 2011.
Avverso tale atto, la società contribuente proponeva ricorso alla Commissione
tributaria provinciale di Venezia, chiedendone l’annullamento.
Con sentenza n. 763/2020 del 13/10/2020 la Commissione provinciale di
Venezia respingeva il ricorso.
Proponeva appello tempestivamente la società, chiedendo la riforma della
decisione di primo grado e la dichiarazione di illegittimità dell’atto impugnato.
Statuisce la Corte di Giustizia di secondo grado che l’appello deve trovare
accoglimento.
La società contribuente contesta la sentenza appellata per non aver rilevato:
a) la violazione dell’art. 43 DPR 600/73; b) la violazione dell’art. 27 DL
185/2008, in quanto il credito non è inesistente ma eventualmente non
spettante; c) che la motivazione dell’atto impugnato è contraddittoria; d) che
l’Amministrazione finanziaria non ha adempiuto al proprio onere probatorio.
Ebbene, in base alla documentazione in atti, “la Commissione osserva che
recentemente la Corte di Cassazione con le sentenze n. 34444 e 34445/2021
ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di compensazione di
crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di
decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, del DL n. 185 del 2008,
conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito
“non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo
intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del DLGS n.
471/1997 (introdotto dall’art. 15 del DLGS n. 158/2015 – il credito in relazione
al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non
è, cioè, “reale” e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di
cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973 e all’art. 54-bis del DPR n.
633/1972″».”
Nel caso in esame, l’Ufficio riteneva di poter utilizzare, per la propria attività, di
verifica il termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, del
DL n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, qualificando il credito
recuperato come “inesistente”.
Ma, come ben evidenziato dalla società, “in realtà l’Agenzia delle entrate ha
sempre affermato che “Il credito utilizzato in compensazione afferisce al
credito agevolativo riconosciuto in relazione ai costi sostenuti in attività di
ricerca e sviluppo istituito a favore delle imprese ai sensi dell’articolo 1, commi
da 280 a 283, della legge n. 296/2006, e successive modificazioni…” (pag. 2
delle controdeduzioni) non contestando la sussistenza dei costi esposti e
documentati dalla .., ma la mancanza di prova circa l’effettiva correlazione di
tali costi ad una attività di ricerca e sviluppo.”
Appariva quindi evidente come, nel caso in esame, il credito d’imposta non
possa essere qualificato come “inesistente” bensì solo, eventualmente, come
“non spettante”.
Pertanto, in applicazione del principio di diritto sopra esposto, il Collegio
accoglieva il primo motivo d’appello, dichiarando, in applicazione dell’art. 43
DPR 600/73, la non utilizzabilità del termine ottennale alla presente fattispecie
e la conseguente decadenza dell’Ufficio dal potere di verifica e impositivo.
Le spese seguivano la soccombenza.
fonte: FISCAL FOCUS TODAY

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