«L’Europa rischia
blackout energetico. Italia fragile». Ecco il
rapporto del Copasir
Il caro-bollette alleggerisce le tasche degli italiani ma è anche la spia di una
minaccia che insidia la sicurezza nazionale. L’Italia soffre infatti di una forte
dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico che la rende
particolarmente fragile in una fase in cui l’impennata dei prezzi dell’elettricità e
del gas naturale espone l’Europa al rischio di blackout.
Ecco perchè il Paese deve realizzare un Piano nazionale di sicurezza
energetica mirato al “perseguimento di una adeguata autonomia tecnologica e
produttiva”, rafforzando le “filiere nazionali di industria e ricerca, in
collaborazione con i partner europei ed occidentali”, evitando di dipendere da
Russia e Cina.
La relazione del Copasir
L’auspicio è contenuto in una relazione inviata dal Copasir al Parlamento dopo
una serie di audizioni, iniziate lo scorso settembre, che hanno coinvolto
ministri (Roberto Cingolani, Giancarlo Giorgetti, Daniele Franco), intelligence
(i direttori di Aise, Aisi e Dis) e le principali aziende del settore (Terna, Ansaldo
ENERGIA, Edison, Eni ed Enel). Il gas naturale , si legge nella Relazione,
“sembra rappresentare una risorsa irrinunciabile nel breve-medio termine in
attesa che possa completarsi la transizione energetica”. Ed è una risorsa in
cui “la dipendenza dalla Russia è forte”.
“L’impennata dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale espone
l’Europa al rischio di blackout energetici – si legge nella relazione – Il timore è
che in un sistema di approvvigionamento energetico estremamente
interconnesso come quello europeo, lo spegnimento di una singola centrale –
ad esempio per mancanza di carburante – possa generare una reazione a
catena in vari Stati membri. Il timore di un possibile blackout si starebbe
diffondendo in tutta Europa. A partire dall’Austria dove la ministra della Difesa
Klaudia Tanner ha paventato il rischio di un possibile “grande blackout”, sino
alla Spagna dove i consumatori iberici, nonostante le rassicurazioni delle
Istituzioni nazionali, hanno dato il via ad acquisti compulsivi di bombole di
butano, fornelli da campeggio, torce e batterie, esaurendo le scorte disponibili.
In tale contesto, poi, la nota chiusura di 2 reattori di EDF (il parco
elettronucleare francese è costituito da 56 reattori a fissione nucleare di
uranio, tutti gestiti dalla società citata) ha provocato un aumento record dei
prezzi europei dell’energia elettrica in considerazione del previsto calo delle
temperature e, soprattutto, del fatto che i reattori in questione costituiscono il
10% della capacità nucleare francese, che esporta la propria elettricità in tutti i
Paesi limitrofi (Italia compresa).
L’intervento legislativo del 1999 ha modificato la titolarità delle tre fasi
(produzione, trasmissione e distribuzione), lasciando la trasmissione di
esclusivo appannaggio dello Stato e liberalizzando le altre. Ciò ha comportato
il fatto che dai circa 600 impianti di produzione esistenti a fine anni ‘90 si è
passati ai circa 800.000 attuali, circostanza che espone il sistema a
un’oggettiva maggiore fragilità legata all’enorme dispersione di fonti di
produzione”.
Il blackout italiano
“A tale endemica fragilità deve aggiungersi la carenza di investimenti
programmatici, che rischia di indebolire il sistema energetico nazionale, oggi
considerato uno dei più importanti e moderni esistenti al mondo e che resta
esposto al rischio di perdere la propria competitività e di vivere ulteriori
interruzioni generalizzate dell’erogazione dell’energia elettrica. In tale quadro,
critico di per sé, si innestano le problematiche relative alla transizione
ecologica e ai consistenti rincari delle bollette energetiche europee registratesi
nell’ultimo periodo come somma di fenomeni congiunturali e strutturali” si
legge nella relazione.
“Il rischio sembrerebbe più basso per lo specifico mercato italiano, che
possiede un livello di scorte più solido rispetto a Germania e Paesi del nord
Europa. Ciononostante, l’Italia potrebbe, comunque, subire indirettamente gli
effetti di razionamenti energetici condotti a livello europeo ovvero di fenomeni
di blackout in uno dei Paesi dell’Unione che inciderebbero sugli scambi
commerciali intra UE e quindi sulla tenuta del sistema produttivo nazionale”.
Usare meglio i giacimenti italiani
La proposta del Comitato, anche allo scopo di invertire il dato relativo
all’aumento del 250% della spesa delle famiglie per il gas naturale verificatosi
negli ultimi mesi, è di “valutare l’ipotesi di incrementare l’estrazione di gas dai
giacimenti italiani, riducendo allo stesso tempo gli acquisti dall’estero in modo
da mantenere costante il volume dei consumi”. Si tratterebbe di sfruttare più
efficacemente i giacimenti già attivi, in modo da raddoppiare la quota
nazionale da poco più di quattro a circa nove miliardi di metri cubi all’anno. In
proposito, il documento ricorda la Croazia ha autorizzato nuove esplorazioni
nel Mare Adriatico, in aree in cui sono presenti giacimenti il cui sfruttamento è
condiviso con l’Italia.
Gli ostacoli
Servirebbe spingere sulle fonti energetiche rinnovabili, ma in questo caso
l’ostacolo – rileva il Copasir – è costituito “dalla effettiva localizzazione e
realizzazione degli impianti che ancora in numerosi casi incontrano tenaci
resistenze a livello territoriale, oltre alla complessità dell’iter autorizzatorio, con
conseguenti effetti sui tempi esecutivi”. Per ovviare al problema la soluzione
ipotizzata è “un intervento sostitutivo da parte del potere centrale in quelle
ipotesi in cui maggiormente evidente e da salvaguardare è l’interesse
nazionale”.
La svolta green
La riconversione green di alcuni settori industriali, viene poi evidenziato,
“determinerà un sensibile incremento dei costi connessi con i processi
produttivi e ciò potrebbe determinare una difficoltà alla collocazione sul
mercato dei prodotti finiti”.
Per compensare il fenomeno potrebbe essere introdotta a livello dell’Ue “una
forma di disincentivo delle importazioni di prodotti realizzati in Paesi
extracomunitari mediante processi produttivi caratterizzati dall’utilizzo di fonti
energetiche non green, come il carbone. Ciò potrebbe avvenire anche
attraverso l’introduzione di dazi sull’importazione di merci prodotte senza il
rispetto di specifici standard ambientali”. Quanto alle bollette, inutile farsi
illusioni. Secondo la relazione “i prezzi delle materie prime energetiche,
seppur destinati a diminuire con l’arrivo della primavera 2022, non torneranno
a livelli pre-pandemia”. Da qui l’invito a valutare “ulteriori interventi
compensativi”