SANZIONI: 4 GRAFICI PER SPIEGARE
L’IMPATTO SULLA RUSSIA
Negli ultimi giorni si è molto discusso del fatto che la Russia si fosse
preparata a resistere alle sanzioni economiche che le sarebbero state
imposte in seguito all’invasione dell’Ucraina: in effetti, il debito pubblico
contenuto e la bilancia dei pagamenti in attivo avevano consentito a
Mosca di accumulare riserve monetarie. La risposta di Europa e Stati
Uniti è stata però massiccia e compatta: le sanzioni comminate la scorsa
settimana hanno avuto un effetto immediato – e forse in parte inatteso
dal Cremlino – sull’economia russa. Che cosa è successo esattamente?
Per quanto può resistere la Russia sotto il peso delle sanzioni?
Per mesi la disconnessione della Russia dal sistema di pagamenti
internazionale SWIFT è stata definita come la madre di tutte le sanzioni, una
“bomba nucleare” finanziaria. Ma è col blocco delle riserve in valuta estera
della Banca Centrale Russa che l’Occidente ha colpito Mosca dove più fa
male.
Dal 2014, la Russia ha infatti implementato politiche economiche volte ad
accrescere le dimensioni di queste sue riserve e a renderle meno dipendenti
dal dollaro. Si è così passati dai 509 miliardi del 2014, di cui il 40% era in
dollari, ai 630 miliardi attuali di cui solo il 16% è in valuta statunitense.
L’obiettivo di Mosca era quello di poter contare su fondi sufficienti per
sostenere il rublo in caso di difficoltà e su liquidità con cui aiutare il proprio
sistema bancario. Come fece tra il 2014 e 2015 quando di fronte alle sanzioni
occidentali dovute all’annessione della Crimea, la Banca Centrale Russa si
trovò costretta a utilizzare 170 miliardi di dollari dalle sue riserve di valuta
internazionale, che diminuirono così del 32%.
Il nuovo pacchetto di misure deciso da USA, UE e Giappone va
espressamente a limitare questa possibilità. Non solo è impedito alla Banca
Centrale di vendere le sue riserve in dollari, euro o yen, pari al 54% delle sue
riserve totali. Ma sono bloccate anche le riserve che non siano in queste tre
valute ma che sono depositate presso i paesi che hanno applicato le sanzioni,
una percentuale di nuovo vicina al 50%. E così la Banca di Russia ha dovuto
ricorrere ad altri strumenti monetari.
Tra questi il tasso di interesse chiave (il tasso al quale una banca centrale
presta denaro ad altre banche) che è stato più che raddoppiato: dal 9,5 al
20%, nuovo record di sempre. Un aumento che però non è indolore per i
cittadini russi dato che si tradurrà in un aumento dei tassi di mutui e prestiti.
Parallelamente il Cremlino ha introdotto una serie di nuove misure per
scongiurare una crisi di liquidità. In particolare, ai cittadini russi è ora vietato
spostare denaro all’estero o lasciare il paese con più di 10mila dollari (o
l’equivalente in altra valuta estera). Agli esportatori è stato ordinato di
cambiare l’80% delle loro entrate in valuta estera in rubli e agli investitori
stranieri è temporaneamente impedito di vendere gli asset russi in loro
possesso. Non è però bastato a evitare un crollo del rublo.
Prima dell’inizio della guerra in Ucraina per comprare un dollaro servivano
circa 80 rubli. Ora 117: un calo del 40% che segnala una fragilità ormai
consolidata della valuta russa a partire dalla guerra in Crimea. In questi otto
anni, ha perso quasi un quarto del suo valore e continua a toccare nuovi
minimi storici. Tanto che le contrattazioni sulla Borsa di Mosca sono ancora
chiuse per il terzo giorno di fila.
Ma sulle borse estere il crollo delle aziende quotate russe è stato evidente. Il
gigante russo di internet Yandex ha perso metà del loro valore a Wall Street.
Mentre le azioni quotate a Londra delle due maggiori società russe per valore
di mercato, Sberbank e Gazprom, sono scese rispettivamente del 74,6% e del
37,9%. Con Sberbank, la più grande banca della Russia che, pur non
essendo tra gli istituti bancari russi esclusi da SWIFT, ha oggi annunciato
l’abbandono dei mercati europei non essendo più in grado di garantire liquidità
ai suoi clienti.
E dire che la Russia si è presentata all’appuntamento con questa grave crisi
internazionale con i fondamentali macroeconomici “in ordine”: il debito
pubblico, per esempio, ammonta solamente al 17% (vs 150% dell’Italia).
Tuttavia, l’agenzia Standard&Poor’s ha abbassato il rating sovrano della
Russia al livello BB+, poco sopra la soglia per essere considerato
“spazzatura”. Decisione a cui ha fatto seguito anche il declassamento da parte
di Moody’s e Fitch. Ciò significa che la posizione finanziaria del Cremlino non
sembra più così solida; lo dimostra lo spread sui bund tedeschi, che nelle
ultime settimane si è impennato raggiungendo il livello di oltre 1260 punti
base: 8 volte rispetto a quello italiano mentre fino al 2014 la differenza era
nell’ordine di un fattore triplo. Game over per la Russia? Non ancora, almeno
non nel breve periodo: il Cremlino potrà trovare risorse per evitare un default
grazie a un surplus delle partite correnti e ricorrendo al proprio fondo sovrano
(derivante dalle rendite di gas e petrolio), che metterà in campo un trilione di
rubli (circa 10,3 miliardi di dollari) per sostenere le azioni delle società russe.
Ma per quanto potrà resistere la Russia?