ANALISI E COMMENTI – LE FORMICHE – Il discorso (integrale) di Mario Draghi e le incertezze del domani

Il discorso (integrale) di Mario Draghi e le
incertezze del domani


di Gianfranco Polillo
Gianfranco Polillo ha tradotto integralmente il discorso pronunciato da
Mario Draghi al Massachusetts Institute of Technology. E spiega perché
leggerlo è importante…
Quello che segue è la traduzione integrale del discorso tenuto, ieri, da
Mario Draghi al MIT (Massachusetts Institute of Technology) in
occasione del conferimento alla sua persona del premio Miriam Pozen.
L’averlo tradotto integralmente – speriamo senza eccessivi errori – può
sembrare bizzarro. Basterà leggerlo per farsi un’idea diversa e scoprire
l’importanza di un’analisi che ci permette di capire quello che ci
possiamo aspettare in un prossimo futuro.
“Signore e signori,
È meraviglioso tornare al MIT tra tanti amici.
Ed è un grande onore ricevere il premio Miriam Pozen.
Nel 2020, il premio inaugurale Miriam Pozen è stato assegnato a Stan
Fischer.
Stan è stato un vero gigante della politica, grazie alla sua compostezza, alla
sua acutezza, alla sua esperienza.
Per me, è stato anche un amico, un mentore, un modello da seguire.
Mi sento immensamente privilegiato di seguire le sue orme.
La mia lezione di oggi trarrà spunto dalle mie esperienze come banchiere
centrale e primo ministro dell’Italia.
Vorrei riflettere sui due eventi che, insieme alle sempre crescenti tensioni con
la Cina, hanno dominato le relazioni internazionali e l’economia globale
nell’ultimo anno e mezzo: la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione.
Questi eventi hanno colto di sorpresa i responsabili delle politiche.
Abbiamo supposto che le istituzioni che avevamo costruito, insieme ai legami
economici e commerciali, sarebbero stati sufficienti per impedire una nuova
guerra di aggressione in Europa.
E credevamo che le banche centrali indipendenti avessero padroneggiato la
capacità di limitare le aspettative di inflazione, al punto che ci preoccupavamo
per una stagnazione secolare.
Con il beneficio della retrospettiva, sosterrò che questi due eventi
monumentali non sono venuti dal nulla e non sono sconnessi.
Sono piuttosto entrambi la conseguenza di un cambiamento di paradigma che
negli ultimi due decenni e mezzo ha silenziosamente spostato la geopolitica
globale dalla competizione al conflitto.
Esso potrebbe portare a tassi di crescita potenziale più bassi e richiedere
politiche destinate a produrre deficit di bilancio e tassi di interesse più elevati.
Negli anni ’90, molti credevano che il processo di globalizzazione fosse
inarrestabile e che avrebbe diffuso valori liberali e democratici in tutto il
mondo.
Lo sviluppo del settore privato, il buon funzionamento dei mercati, la
straordinaria crescita degli investimenti diretti esteri e l’espansione del
commercio mondiale erano obiettivi ritenuti non solo favorevoli alla prosperità
generalizzata, ma anche alla diffusione della democrazia.
La visione dominante era che i valori globali si sarebbero dimostrati
convergenti e che questa convergenza avrebbe ridefinito le relazioni
internazionali per i decenni a venire.
E si presumeva che le istituzioni internazionali sarebbero state in grado di
correggere le distorsioni derivanti dalla globalizzazione – ad esempio sul
clima, sulla concorrenza e sui diritti di proprietà – e che le istituzioni nazionali
avrebbero sconfitto l’ineguaglianza.
Due esempi hanno rivelato i limiti di questa visione, su cui si basava il
consenso alla globalizzazione.
Il primo, forse il più simbolico e conseguente, è stato quello di far entrare la
Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), anche se non era (e
non è) un’economia di mercato, nell’assunzione che diventasse tale.
Sebbene questa decisione abbia portato a una storica riduzione della povertà
globale e abbia favorito i consumatori e le aziende occidentali, ha avuto un

maggiore impatto sociale, politico ed ambientale. L’Omc si è dimostrata
incapace di contenerlo.
In secondo luogo, la pretesa che il diffondersi del libero mercato avrebbe
recato con sé anche la diffusione dei valori della democrazia liberale è stata
infranta dal caso della Russia.
L’Occidente ha visto la crescita di Vladimir Putin come un segno
dell’inevitabile modernizzazione della Russia e ha accolto Mosca nei forum
multilaterali, a partire dal G7 e dal G20.
Abbiamo supposto che i legami economici e commerciali che abbiamo creato
con la Russia sarebbero stati una garanzia di prosperità, un motore di
democratizzazione, un preludio per una pace duratura.
Tuttavia, il presidente Putin non ha mai accettato i cambiamenti politici e
territoriali che sono seguiti alla caduta dell’Unione Sovietica. Dalla Georgia
alla Crimea, il governo russo ha violato ripetutamente la sacralità delle
frontiere internazionali, mentre perseguiva un piano premeditato per
ripristinare il suo passato imperiale.
I contratti che avevamo firmato con la Russia, in particolare per la fornitura di
gas naturale, sono divenuti uno strumento di ricatto. Mentre eravamo
impegnati a celebrare la fine della storia, la storia stava preparando il suo
ritorno. Anche le nostre istituzioni nazionali si sono dimostrate sorprese da
questa sfida.
La rivolta contro l’ordine liberale multilaterale ha guadagnato forza a causa
della sua percepita ingiustizia e mancanza di salvaguardie. Nel 2016,
l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e il referendum sulla Brexit in
Europa hanno mostrato una diffusa insoddisfazione con il modello economico
e politico esistente.
Gli elettori hanno chiesto una maggiore protezione e un maggiore controllo.
Volevano un ruolo più centrale dello Stato, che è tornato in primo piano.
La pandemia di Covid-19 ha accelerato la tendenza a contrastare la primazia
dei mercati.
In Europa, abbiamo rapidamente capito che troppe catene di
approvvigionamento erano al di fuori del nostro controllo domestico in un
momento critico.L’esempio più chiaro e pericoloso era la catena di approvvigionamento dei
beni medici essenziali – dall’equipaggiamento di protezione ai vaccini – dove i
governi dovevano adottare una posizione più assertiva.
Anche il settore pubblico ha assunto un ruolo centrale nel sostenere
l’economia durante il lockdown e nel dare il via alla ripresa quando si è
verificata la riapertura.
I bilanci governativi hanno protetto posti di lavoro, salari, aziende – una mossa
che si è rivelata saggia nel limitare i danni dello shock pandemico.
Ma proprio quando pensavamo di aver vinto la guerra contro Covid-19, un
nuovo conflitto è venuto a minacciare la nostra prosperità e sicurezza
collettive: l’invasione brutale della Russia dell’Ucraina.
Questo non è stato un atto imprevedibile di follia. È stato il successivo passo
premeditato nell’agenda del presidente Putin e un colpo determinato all’Ue.
I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto
della sovranità democratica. Sono i valori emersi dopo il massacro della
Seconda guerra mondiale.
Ed è per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i suoi
alleati che garantire che l’Ucraina vinca questa guerra.
Accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente
altri Stati confinanti e invierebbe un messaggio agli autocrati che l’Ue è pronta
a rinunciare a ciò per cui si batte, a ciò che è.
Inoltre, segnalerebbe ai nostri partner orientali che il nostro impegno per la
loro libertà e indipendenza – un pilastro della nostra politica estera – non è
così saldo come sembra.
In breve, sarebbe un colpo esistenziale per l’Ue.
Vincere questa guerra per l’Europa significa avere una pace stabile, e oggi
questa prospettiva sembra difficile.
L’invasione della Russia fa parte di una strategia delirante a lungo termine del
presidente Putin: recuperare l’influenza passata dell’Unione Sovietica e
l’esistenza del suo governo è ora diventata intimamente legata al suo
successo.
Ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perché la Russia
abbandoni i suoi obiettivi, ma non c’è segno che un tale cambiamento
avverrà.Le conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale
dell’Europa sono molto significative.
Più rapidamente ci rendiamo conto di esse, meglio saremo preparati.
In primo luogo, l’Ue deve essere disposta a rafforzare le sue capacità di
difesa.
Questo è essenziale per aiutare l’Ucraina per tutto il tempo necessario e per
fornire una deterrenza significativa contro la Russia.
In secondo luogo, dobbiamo essere pronti a intraprendere un percorso con
l’Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato.
L’alternativa è inviare sempre più armi e giungere ad un accordo tra l’Ucraina
e tutti i suoi alleati di questa guerra che contempli elementi di difesa reciproca
che ricordano il Trattato che collega gli Stati Uniti alla Corea del Sud.
Ma un tale accordo sarebbe difficile da raggiungere e difficile da attuare. Non
avrebbe uguale deterrenza rispetto alla Russia e, come ha osservato Henry
Kissinger, non vincolerebbe la strategia nazionale dell’Ucraina. Inoltre, credo
che il contesto storico e politico sia diverso da quello coreano.
Se questo si dimostrerà essere il corso degli eventi più probabile, l’incertezza
e l’instabilità conseguenti potrebbero essere grandi.
In terzo luogo, dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia
globale si comporterà molto diversamente dal passato più recente.
Ed è qui che gli spostamenti geopolitici interagiscono con le dinamiche
dell’inflazione.
La guerra in Ucraina ha contribuito all’aumento delle pressioni inflazionistiche
a breve termine, ma è anche probabile che scateni cambiamenti duraturi da
cui derivi un’alta inflazione in futuro.
A breve termine, l’impennata dei prezzi dell’energia, il maggior peso delle
limitazioni sull’offerta, dovuti alle interruzioni delle catene del valore e a quelle
dei mercati, come i cereali e altri prodotti alimentari, hanno spinto l’inflazione a
livelli che non si vedevano da decenni. In Europa, le strozzature bell’offerta
erano inizialmente la principale fonte d’inflazione, poiché le aziende dovevano
aumentare i prezzi in risposta all’aumento dei costi dell’energia e di altri costi.
Negli Stati Uniti, invece, onde successive di stimoli fiscali hanno fatto sì che
fosse prevalentemente un fenomeno legato alla domanda.Ma in entrambi i casi, le banche centrali sono dovute intervenire per riportare il
tasso di inflazione verso gli obiettivi previsti dai loro statuti – dando luogo ad
un’azione che avevano quasi dimenticato dopo un decennio di bassa
inflazione.
Con il beneficio della retrospettiva, è probabile che le autorità monetarie
avrebbero dovuto diagnosticare il ritorno dell’inflazione persistente in anticipo.
Ma soprattutto in Europa, data la particolare natura dello shock da offerta, non
è chiaro se agire più rapidamente avrebbe frenato l’accelerazione dei prezzi.
L’incapacità dei governi di concordare tempestivamente un tetto ai prezzi del
gas naturale ha reso molto più difficile il lavoro della Banca centrale europea.
In ogni caso, quando le banche centrali sono intervenute, hanno mostrato un
forte impegno per mantenere l’inflazione sotto controllo e hanno per lo più
recuperato il tempo perduto.
Tassi più elevati si stanno ora diffondendo nell’economia e ci sono segnali di
rallentamento nel settore manifatturiero.
Tuttavia, i servizi e soprattutto il turismo rimangono forti e i mercati del lavoro
rimangono generalmente rigidi rispetto agli standard storici.
L’inflazione si sta dimostrando di essere più resistente di quanto le banche
centrali avessero inizialmente ipotizzato.
La lotta contro l’inflazione non è finita e probabilmente richiederà il
mantenimento di una cauta stretta monetaria, sia attraverso tassi di interesse
ancora più elevati che attraverso l’allungamento dei tempi necessari per
un’inversione di tendenza.
Tuttavia, le diverse origini dello shock inflazionistico hanno implicazioni
differenti per il compito che attende le banche centrali.
Negli Stati Uniti, l’inflazione è stata in gran parte determinata da un aumento
del reddito disponibile delle famiglie durante la pandemia e da un
conseguente aumento del risparmio, che è stato successivamente intaccato.
E uno dei fattori chiave che ne è stato il presupposto è stato il trasferimento
fiscale durante e dopo la pandemia, che, nel 2020 e 2021, ha spinto la
crescita del reddito disponibile oltre il trend degli anni precedenti.
Tuttavia, il reddito disponibile è ora tornato nel suo alveo tradizionale e la
politica fiscale si è contratta verso una posizione meno espansiva.Ciò suggerisce che l’attuale impulso al consumo – e la pressione sui prezzi
che ha prodotto – svanirà una volta che il ridimensionamento del risparmio in
eccesso si sarà esaurito.
Inoltre, anche se la creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti rimane forte,
c’è qualche dubbio se i salari prenderanno il sopravvento come driver delle
pressioni inflazionistiche una volta che le spese si normalizzeranno.
I salari nominali sono aumentati fortemente, ma manca la prova che la
crescita dei salari abbia guidato la crescita dei prezzi. Piuttosto, i salari
sembrano aver risposto allo stesso fattore comune della domanda in eccesso
e dovrebbero quindi diminuire man mano che la domanda si contrae.
Nell’area dell’euro le sfide sono diverse.
Finora l’inflazione non è stata guidata dagli eccessi della domanda.
A differenza degli Stati Uniti, il consumo reale totale nell’area dell’euro è
ancora al di sotto del livello pre-pandemico e ben al di sotto della tendenza
pre-pandemica.
Questo contrasto netto riflette il fatto che l’area dell’euro ha subito un forte
shock nei rapporti di cambio riflesso della crisi energetica che ha
contemporaneamente aumentato i costi e trasferito redditi al resto del mondo.
Finora le aziende hanno reagito cambiando i loro listini: invece di assorbire i
costi più elevati riducendo i margini di guadagno, come avevano fatto per la
loro maggior parte nel decennio precedente, hanno trasferito questi costi sui
consumatori – mantenendo o addirittura aumentando i loro profitti.
I lavoratori, d’altra parte, non sono stati in grado di evitare una perdita di
reddito reale. I salari reali alla fine dell’anno scorso erano ancora circa il 4% al
di sotto dei livelli pre-pandemici.
E, dato il carattere inerziale della maggior parte delle trattative salariali in
Europa, questo processo durerebbe nel tempo fino a quando le perdite
salariali reali non saranno state recuperate.
Un periodo più lungo di aumento dei salari comporta naturalmente rischi
maggiori. Si rischia che l’inflazione diventi persistente, soprattutto se le
imprese continuano ad aumentare i loro listini, come abbiamo osservato
finora.Quindi, per eliminare questi rischi, la domanda deve essere contenuta
abbastanza per indurre le imprese a mantenere più bassi i listini ed impedire
loro di trasferire sui consumatori i futuri aumenti salariali.
D’altra parte, man mano che la domanda diminuisce, le imprese potrebbero
assorbire alcuni degli aumenti salariali impliciti nei contratti di lavoro per i
prossimi 1-2 anni.
Al netto di altri fattori, il grado della futura stretta monetaria dipenderà
dall’interazione tra le imprese e il lavoro e da quanto profondi saranno gli
effetti delle decisioni monetarie passate.
In generale, non mi aspetto che le preoccupazioni per la stabilità finanziaria
ostacolino questa strada. I problemi bancari attuali non sono in alcun modo
paragonabili a quelli della passata crisi finanziaria e dovrebbero essere
affrontati con misure ad hoc, come è stato fatto finora.
Data la dimensione limitata di queste crisi, i governi dovrebbero finanziare, se
necessario, qualsiasi intervento necessario e evitare di creare un conflitto per
le banche centrali tra perseguire gli obiettivi della politica monetaria e quelli
della stabilità finanziaria.
L’esperienza degli anni ’70 è ancora molto chiara nella mente di tutti noi e oggi
né i governi né le banche centrali vogliono vedere un disancoraggio delle
aspettative di inflazione.
Alla fine, le banche centrali riusciranno a riportare il tasso di inflazione nei loro
target.
Ma man mano che le conseguenze a lungo termine della guerra diventeranno
visibili, l’economia apparirà molto diversa da quella a cui siamo stati abituati.
Una guerra prolungata tra Russia e Ucraina e le continue tensioni geopolitiche
con la Cina continueranno a pesare sul tasso di crescita potenziale
dell’economia globale.
Inoltre, il desiderio di garantire che le catene di approvvigionamento siano
resilienti agli shock geopolitici significa che i paesi saranno più disposti ad
acquistare beni da fornitori affidabili e affini, anche se non sono i più
economici, e ad investire nel reshoring in patria la produzione più sensibile
Ciò porterà ad un aumento della capacità produttiva delle economie
occidentali, ma non necessariamente della scala e dell’efficienza necessarie
per garantire che l’inflazione rimanga bassa come in passato.Allo stesso tempo, mi aspetto che i governi gestiscano deficit di bilancio
permanentemente più elevati.
Le sfide che affrontiamo – dalla crisi climatica alla necessità di rafforzare le
nostre catene di approvvigionamento più sensibili alla difesa, soprattutto
nell’Ue – richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono
essere finanziati solo tramite aumenti fiscali.
Questi livelli più elevati di spesa pubblica metteranno ulteriore pressione
sull’inflazione, oltre ad altri possibili shock dell’offerta da energia e da altri
beni.
A lungo termine, è probabile che i tassi di interesse siano più elevati rispetto a
quelli dell’ultimo decennio. Allo stesso tempo, la bassa crescita potenziale, i
tassi più elevati e i livelli elevati di debito post-pandemico sono un cocktail
volatile – e banche centrali più tolleranti con l’inflazione non saranno la
soluzione.
Le banche centrali certamente devono essere molto attente al loro impatto
sulla crescita, al fine di evitare qualsiasi inutile contraccolpo. Ma il compito
ricadrà principalmente sui governi nel ridisegnare le politiche fiscali compatibili
con questo nuovo ambiente.
Dovranno imparare a vivere di nuovo in un mondo in cui lo spazio fiscale non
è infinito, come sembrava essere il caso quando i tassi di crescita superavano
sostanzialmente i costi finanziari.
E, se alcune delle lezioni degli ultimi trent’anni sono state comprese, molto più
attenzione dovrà essere posta sulla composizione della politica fiscale.
Ciò dovrebbe essere progettato per aumentare la crescita potenziale,
proteggendo e includendo contemporaneamente coloro che hanno
maggiormente bisogno di aiuto.
Naturalmente, questa situazione potrebbe cambiare radicalmente se una serie
di potenti innovazioni, come l’AI (intelligenza artificiale ndr,) dovesse scuotere
il mondo e aumentare la crescita globale.
Sebbene sia difficile prevedere tutte le implicazioni di un tale evento, una cosa
è chiara: i governi, gli Stati e le istituzioni devono rispondere in modo proattivo
per garantire l’inclusione e la protezione di tutti coloro che sarebbero
negativamente colpiti da questi sviluppi. In tutto ciò, l’Ue dovrà affrontare sfide
sovranazionali senza precedenti. L’Ue è stata in molti modi al centro
dell’esperimento di globalizzazione, ma considerare la creazione del mercato
unico e dell’euro solo come un’estensione di questo processo sarebbe unalettura riduttiva. Il progetto è sempre stato più ambizioso. Specie in due
importanti dimensioni.
Il modello sociale europeo ha garantito una rete di sicurezza più robusta per
coloro che sono stati lasciati indietro rispetto al resto del mondo.
E l’Ue aveva regole e istituzioni collettive forti che – seppur imperfette –
garantivano una maggiore protezione contro gli effetti collaterali del libero
mercato.
Ma l’Ue non è stata progettata per trasformare il peso economico in potere
militare e diplomatico.
Ed è per questo che la risposta europea alla Russia rappresenta una svolta.
Ora, la guerra in Ucraina, come mai prima d’ora, ha dimostrato l’unità dell’Ue
nella difesa dei suoi valori fondanti – andando oltre le priorità nazionali dei
singoli paesi.
Questa unità sarà cruciale nei prossimi anni.
Sarà cruciale nel ridisegnare l’Unione per accogliere l’Ucraina, i paesi
balcanici e i paesi dell’Europa orientale; nell’organizzare un sistema di difesa
europeo complementare e accrescitivo rispetto alla Nato; e nel superare tutte
le altre sfide sovranazionali che affrontiamo collettivamente: prima di tutto la
transizione climatica e la sicurezza energetica, nell’adattare le nostre
istituzioni e soprattutto il processo decisionale al nuovo contesto.
E tutto questo, senza indebolire la protezione sociale che rende unica l’Ue.
Insisto sull’unità perché è l’unica strada possibile: i singoli paesi europei, per
quanto forti siano, sono troppo piccoli per padroneggiare queste sfide da soli.
E più queste sfide sono grandi, più il cammino verso un’unica entità politica,
economica e sociale, seppur lungo e difficile, diventa inevitabile. Il nostro
viaggio che è iniziato molti anni fa, ed è accelerato con la creazione dell’euro,
sta continuando.
Oggi ho parlato dei nostri tempi difficili. Ma i tempi non sono mai stati facili.
Sono arrivato qui nell’agosto del 1972. Mentre ero uno studente, abbiamo
avuto la guerra del Kippur, diversi shock petroliferi, il crollo del sistema
monetario internazionale, il terrorismo imperversava in tutto il mondo e
l’inflazione era fuori controllo, solo per citare alcuni eventi di quel tempo e
naturalmente eravamo nella guerra fredda.Siamo stati in grado di superare quelle sfide, sono sicuro che saremo in grado
di farlo anche in futuro, grazie alle donne e agli uomini che erano preparati e
ispirati.
Voglio rendere omaggio di gratitudine al MIT e più in generale a tutte le
istituzioni scientifiche ed educative per il loro immenso contributo nella
preparazione e nell’ispirazione di generazioni di donne e uomini simili al loro
servizio nel mondo.
Grazie”.
fonte: LE FORMICHE

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