ANALISI E COMMENTI – Il manifatturiero del futuro? Non potrà fare a meno dell’economia circolare

Il manifatturiero del futuro? Non potrà fare
a meno dell’economia circolare


L’industria manifatturiera ha deciso di intraprendere la strada della
sostenibilità e dell’economia circolare, iniziando a ripensare i processi di
progettazione e produzione. Con alcuni buoni risultati e molte difficoltà.
Un report di IFS fotografa la situazione attuale
di Antonio Carnevale
Il manifatturiero deve ripartire dall’economia circolare. È quanto emerge
dall’ultima ricerca IFS, importante società di consulenza con quartier generale
in Svezia, specializzata nel fornire alle aziende soluzioni per la gestione dei
processi industriali.
Per farlo, le imprese devono impegnarsi nella trasformazione digitale delle
loro attività. La cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” richiede
l’aggiornamento di molti impianti per migliorare produttività, efficienza
energetica, qualità, efficacia della supply chain e time-to-market. Inoltre,
spostare il focus dal bene al servizio richiede qualità, circolarità ed efficienza,
in un’ottica di sostenibilità.
Del resto, l’impatto della produzione sull’ambiente è ormai tristemente noto.
Nel 2020, sono state prodotte 35 miliardi di tonnellate di emissioni di
anidride carbonica a livello globale, secondo il Global Carbon Project 2021.
Un terzo proveniva da produzione e costruzione, mentre bisogna ricordare
che meno del 10% del consumo di energia industriale proviene da fonti
di energia rinnovabile.
L’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite ha lanciato
l’allarme, non solo per quanto riguarda i possibili danni ambientali, ma anche
per i pericoli per la società e l’economia. Un ulteriore aumento della
temperatura globale metterebbe a rischio oltre 80 milioni di posti di lavoro.
Solo gli Stati Uniti potrebbero perdere 520 miliardi di dollari in 22 settori a
causa dell’impatto del riscaldamento globale.
Una nuova normalità
È ormai chiaro a tutti che i governi non possono perseguire progetti di
contrasto del surriscaldamento globale senza il contributo del settore privato.
Ciò significa che ci sarà una maggiore pressione su imprese e aziende
nell’adottare nuove pratiche ambientali.
Secondo Colin Elkins, vicepresidente di IFS, la pandemia ha accresciuto
l’urgenza di una svolta in termini di circolarità nel settore manifatturiero. “Man
mano che il mondo entrerà nella nuova normalità, prevedo che questa nuova
consapevolezza condurrà a un’accelerazione inedita delle attività negli
ambiti dell’efficientamento degli stabilimenti produttivi e dei processi,
del riciclo e della rigenerazione“, ha spiegato Elkins.
Produrre in modo più sostenibile non può che essere positivo per un’azienda.
Passare da un sistema produttivo basato su modelli tradizionali a uno basato
sulla circolarità però, richiederà un completo ripensamento dei prodotti, che
dovranno essere progettati in un’altra ottica e adottando nuove tecnologie.
Questo significa reingegnerizzare i processi e avere un personale formato
e altamente specializzato.
Rivedere i processi aziendali è importante non solo per migliorare la loro
qualità e redditività, ma anche perché una supply chain più efficiente consuma
meno energia, utilizza meno risorse e produce meno rifiuti. Tuttavia, come
detto, non basta implementare processi e impianti circolari. Bisognerà anche
riprogettare e in alcuni casi reinventare i prodotti stessi.
Puntare sull’economia circolare significa puntare sulla longevità del
prodotto. Concetti come riciclabilità e riparabilità sono essenziali. Non è più
pensabile costringere i consumatori a dismettere un prodotto perfettamente
funzionante semplicemente perché un suo componente interno deve essere
aggiornato. Un settore destinato ad avere una crescita esponenziale nei
prossimi anni è quello della rigenerazione o re-manufacturing. Solo in
Europa, il settore dei prodotti rigenerati registra un fatturato di 30 miliardi di
euro e dà lavoro a 190mila persone. Tuttavia, il rapporto tra prodotti
rigenerati e prodotti nuovi è di appena l’1,9%: un potenziale di crescita
enorme.
Leggi anche: Industria 4.0 e riciclo, nuovi fondi alle imprese per
l’economia circolare
La circolarità dei processi industriali
La ricerca commissionata da IFS ha coinvolto un campione di oltre 1450
senior manager di grandi aziende in Europa, USA ed Emirati Arabi e ci
fornisce un quadro dettagliato della situazione attuale. Lo studio rivela che le
grandi aziende devono innovare per contrastare le strozzature nelle catene di
fornitura, ma in questo modo aumentano i costi e le complessità.
La crescente necessità di adottare misure innovative per contrastare i colli di
bottiglia delle catene di fornitura si riscontra dalle risposte delle imprese. Il
66% delle aziende preferisce mantenere un livello più elevato di scorte
rispetto al periodo pre-covid e addirittura il 70% ha affermato di avere
aumentato il numero di fornitori per cercare di ovviare alle attuali criticità.
Inoltre, più di sette intervistati su dieci (72%) dichiarano di avere aumentato i
volumi di materiali/prodotti ordinati da fornitori locali a causa di queste
difficoltà.
Complessivamente il 93% del campione afferma che la propria azienda ha
adottato pratiche di economia circolare o intende farlo in futuro anche se,
per il 15% degli intervistati, una delle principali cause delle trasformazioni in
atto nell’organizzazione aziendale non è rappresentato da una scelta
consapevole, bensì dall’inasprimento delle normative.
È indubbio, comunque, che ci sia una rinnovata determinazione da parte delle
aziende a concentrarsi maggiormente sulla sostenibilità e ad adottare
l’economia circolare. Molte aziende, contando anche sullo strumento di
supporto economico Next Generation EU, hanno deciso di ripensare i
processi di progettazione e produzione per evitare quanto più possibile di
generare rifiuti, hanno rivisto le modalità di trasporto dei propri prodotti ma,
soprattutto, hanno lavorato sulla catena del riciclo e della riparazione dei
prodotti giunti a fine ciclo.
Secondo il report IFS, tra le aree in cui le aziende stanno attualmente
concentrando le loro iniziative di sostenibilità ci sono, al primo posto, “processi
di trattamento dei rifiuti e delle acque” (43%), seguiti da
“monitoraggio/riduzione delle emissioni di carbonio attraverso operazioni sulla
supply chain” (40%) e “tracciamento/riduzione del carbonio per operazioni
interne” (38%).
Leggi anche: Criticità e soluzioni nell’industria mineraria che deve
diventare circolare
I vantaggi di un approccio circolare
Tuttavia, molte aziende hanno difficoltà a realizzare gli obiettivi di sostenibilità
e circa il 60% dichiara di “non averli ancora raggiunti o di essere in fase di
elaborazione”, di “non averli ancora programmati” o di “averne interrotto il
perseguimento”. Inoltre, il 65% degli intervistati dichiara che la propria azienda
ha difficoltà a coprire le posizioni aperte – soprattutto per la mancanza di
candidati qualificati – e il 39% ritiene che i problemi dovuti alla carenza di
personale qualificato si protrarranno anche nel 2023.
Per ora, stando all’indagine, molte grandi aziende hanno riprogettato la
propria catena delle forniture rendendola più innovativa in modo da ridurre le
criticità, per esempio decidendo di rilocalizzare la produzione per
migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti, mantenere più scorte al
fine di poter sempre far fronte alla domanda o aumentare il numero di fornitori
per avere sempre a disposizione i prodotti richiesti dai clienti.
I vantaggi più significativi attesi dagli intervistati sono, nell’ordine, “sostenere
la strategia sostenibile” (78%), “aumentare il coinvolgimento dei clienti” (74%)
e “migliorare la protezione dell’ambiente” (74%). Realisticamente, a parte il
vantaggio di ridurre l’impatto ambientale, l’economia circolare implica
significativi vantaggi in termini aziendali per le società manifatturiere in termini
di maggiore efficienza, una migliore customer experience, più interesse da
parte di azionisti e investitori, maggiore fidelizzazione dei dipendenti e
minori rischi di perdere quote di mercato rispetto ai propri competitor più
avanzati.
Una scelta difficile (ma inevitabile)
C’è però il rovescio della medaglia. Secondo Maggie Slowic, Global Industry
Director for Manufacturing di IFS, “le grandi aziende rischiano di dover
affrontare costi molto più elevati o di dover risolvere altri problemi finanziari a
seguito delle misure adottate per far fronte alle interruzioni delle catene delle
forniture”. Parliamo di investimenti in materie prime o componenti più costosi,
soprattutto ora con la costante crescita dell’inflazione. Mentre avere più scorte
in magazzino significa bloccare somme ingenti, che potrebbero essere
investite per sviluppare l’attività.
Nonostante i considerevoli benefici dell’economia circolare, inoltre, la
necessità di adottarla può causare notevoli difficoltà alle grandi aziende i cui
impianti e processi non sono pronti per gestire la riduzione degli sprechi e il
riuso e riciclo dei materiali. A ciò si aggiungono le pesanti ricadute
macroeconomiche che le aziende continuano a subire, prima con il Covid e
ora con la guerra in Ucraina.
Slowic però non ha dubbi: “le aziende devono subito trovare una soluzione
per gestire questi effetti dirompenti sul loro business, accentuati dalla
crescente volatilità dei prezzi, effettuare la transizione verso l’economia
circolare e affrontare le attuali criticità delle catene di fornitura”. La soluzione?
Investire in nuove tecnologie, nella sostenibilità e nelle pratiche commerciali
responsabili è la strada. Ovvero, accettare di pagare un costo a breve termine
per assicurarsi di avere un futuro.
Leggi anche: Cos’è la simbiosi industriale e perché può rendere
circolari anche le industrie pesanti
fonte: ECONOMIACIRCOLARE.COM

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