ANALISI E COMMENTI – Dal possesso al semplice utilizzo: cambiano le preferenze dei consumatori?

ANALISI E COMMENTI – Dal possesso al semplice utilizzo:
cambiano le preferenze dei consumatori?


Cresce l’economia peer-to-peer, che ridimensiona la proprietà privata a
favore della condivisione tra pari di oggetti, luoghi ed esperienze. Una
nuova consapevolezza diffusa anche nel mondo delle imprese.
di Giuliana Coccia
Come avvenuto in tutto il mondo, anche il nostro Paese si è sviluppato con
l’economia del possesso: gli individui per utilizzare un bene non potevano
far altro che acquistarlo (dall’automobile, alle cassette DVD, ai libri, ecc.).
Inoltre, il possesso a volte è collegato all’ostentazione di oggetti lussuosi,
comportamenti inclusi e in larga parte accettati dalla società come
espressione visibile della posizione sociale, che perseguono la
“massimizzazione del prestigio” anziché “la massimizzazione dell’utilità”.
Queste scelte hanno stimolato nello stesso tempo comportamenti emulativi
delle classi meno abbienti, che aspirano anch’esse agli stessi beni “vistosi”,
per simulare, uno status sociale esteriore opulento e superiore a quello reale,
che li avvicini alle classi economiche dominanti.
Il possesso anche come status symbol
Questa attitudine ci ha portato ad accumulare la proprietà di molti oggetti che
utilizziamo solo raramente e che spesso non soddisfano più i nostri bisogni.
Ha senso continuare in questo modo?
Per esempio un’automobile di proprietà rimane inutilizzata per oltre il 90 % del
suo tempo di vita e molte delle cose che abbiamo in casa vengono usate solo
saltuariamente durante un anno. È stato calcolato invece come un’auto del
car-sharing condivisa possa essere usata fino al 40% del suo tempo di vita.
Molti oggetti che non utilizziamo occupano spazio prezioso e non sappiamo
come disfarcene.
Dobbiamo imparare a identificare e soddisfare le nostre vere necessità,
piuttosto che cadere nella trappola del consumismo. Dobbiamo abbandonare
l’idea che il possesso di beni sia un simbolo di status sociale e riconoscere
che il nostro vero valore sta nelle nostre azioni e relazioni.
In realtà, il futuro ci prospetta nuove forme di consumo che, seppure ancora
non diffuse ampiamente, cambieranno radicalmente il concetto di possesso e
il comportamento degli individui: stiamo assistendo alla nascita del cittadino
leggero, un nuovo tipo di consumatore che cerca di utilizzare i beni come
servizio, piuttosto che possederli. Se tutti noi riduciamo la nostra dipendenza
dal possesso di oggetti e ci concentriamo sull’utilizzo di servizi condivisi,
possiamo ridurre notevolmente la nostra impronta ecologica.
Il servizio sostituisce il possesso
Walter Stahel già negli anni 80 aveva ipotizzato l’idea di sostituire il possesso
di un prodotto con il suo utilizzo come servizio, teorizzando la performance
economy, una economia in cui persone e aziende piuttosto che acquistare
prodotti, li usano grazie a contratti di locazione, pay-per-use o
pay-for-performance, proprietà collettiva, piattaforme di condivisione.
Il concetto di Product-as-Service (PaaS), più noto in Italia con la parola
“servitizzazione”, indica un modello di business fiorente basato sulla
sottoscrizione di abbonamenti che consentono la fruizione e il consumo di
beni e servizi. Gli utenti ottengono l’accesso e il servizio di tali oggetti, con
contratti di noleggio, locazione o condivisione che includono anche i servizi di
manutenzione, consegna e ritiro.
Questo ha modificato il modo di utilizzare i beni che, da prodotti di proprietà
esclusiva, vengono utilizzati sotto forma di servizi cambiando le abitudini delle
persone che preferiscono godere di un bene on-demand, solo per il tempo
dell’abbonamento. I consumatori usufruiscono così di mobilità, aria
condizionata, cicli di lavaggio, ma non sono proprietari di automobili, di
condizionatori o di lavatrici. Con il vantaggio di disporre di un enorme catalogo
di servizi rinnovabili a seconda del mutamento delle esigenze.
L’eterogeneità dei consumatori
Quali sono gli individui che si orientano verso questi nuovi modelli di
consumo? Non si può generalizzare, ma appaiono chiare delle
caratterizzazioni comuni ad alcuni consumatori.
InTribe (InTribe – Consumer Insight Data Intelligence (intribetrend.com) una
società tecnologica di analisi dei consumatori e ricerche di mercato ha
individuato cinque distinti gruppi di consumatori:
■ Generazione over 55, detta anche baby boomers, rappresenta il 24,3%
della popolazione italiana e comprende i nati tra 1946 e il 1964, prima
della diffusione massiva delle tecnologie digitali. Queste persone che
hanno ancora difficoltà con i nuovi strumenti e comunicano
principalmente tramite telefono sono i maggiori consumatori di media
tradizionali come televisione, radio, riviste e giornali. Per quanto
riguarda le proprietà, gli Over 55 sono tra i principali possessori di una
macchina di media cilindrata e di una casa di proprietà. Pertanto,
presentano una bassa penetrazione di servizi di mobilità – solo il 22%
utilizza questo tipo di servizi-. Hanno buona capacità di spesa e,
soprattutto gli uomini, tendono a essere più responsabili nelle decisioni
di acquisto delle nuove categorie di beni e servizi rispetto a quelli
tradizionali (studio Silver Consumers Shopping Behaviour, Payment
In#gnovation Hub).
■ Generazione X, costituisce il 23,6% della popolazione ed è composta
dagli individui nati tra il 1965 e il 1979. Definiti Digital Adopters, è di
fatto l’ultima generazione “non-digitale”, perché gli anni della formazione
sono avvenuti prima della nascita del web, hanno vissuto il momento
globale della globalizzazione. Utilizzano prevalentemente le email,
navigano molto in Internet e fruiscono molti contenuti online. Sono
persone indipendenti, con propensione all’innovazione e con
notevoli capacità comunicative. Consumatori consapevoli prestano
attenzione alla salute e alla sostenibilità.
■ Millennials, rappresenta il 17,3% della popolazione e comprende gli
individui nati tra il 1980 ed il 1994. Definiti anche Nativi Digitali sono
nati e cresciuti con gli strumenti tecnologici, utilizzano principalmente il
cellulare, sempre connessi e comunicano tramite messaggi istantanei.
Condivisione è la loro parola d’ordine: condividono case, mezzi di
trasporto e la loro vita sui social network. Anche professionalmente
sono molto collaborativi e focalizzati sul bene comune, oltre ad
essere esperti di tecnologia e mondo digitale. I Millenial preferiscono
accedere ai servizi in tempo reale e al momento del bisogno come per i
servizi di car sharing o di food delivery.
■ Generazione Z, nati tra il 1995 e il 2010 sono il rimanente 15% della
popolazione italiana, composta dai cosiddetti Digital Innates, la
tecnologia è un “linguaggio” innato e naturale dalla più tenera età.
Cresciuti nel pieno boom di Internet, credono che la tecnologia possa
contribuire attivamente a migliorare il mondo. Prediligono i social come
forma di comunicazione, anche lavorativa, e la tecnologia è una parte
fondamentale della loro vita. Passano parte del loro tempo a sentire e
condividere musica in streaming. Per la loro età dipendono ancora dai
genitori: si muovono con la loro auto e vivono nella loro casa, non fanno
acquisti on line avendo una ridotta capacità di spesa. La Generazione Z
è caratterizzata da capacità di multitasking e, professionalmente
parlando, da un migliore rendimento in gruppi di lavoro misti. È una
generazione abituata al bombardamento dei social e dell’informazione
digitale, impaziente di non perdere le opportunità. Non desidera
possedere beni, preferisce piuttosto aver accesso a un servizio che
crei valore (video streaming, servizi di car-riding). I prodotti diventano
servizi e i servizi connettono i consumatori.
Millennial e Generazione Z cercano anche di fare acquisti più consapevoli.
Oltre che per i mezzi di trasporto, la sharing economy si addentra anche
nell’armadio di casa: tre giovani su dieci dichiarano di essere disposti a
condividere con altri calzature, borse, gioielli e abbigliamento.
La Generazione Z costituirà la metà dei consumatori globali nel futuro, una
circostanza non irrilevante, con una potenziale popolazione che farà crescere
l’economia peer-to-peer, che svaluta la proprietà privata a favore della
condivisione tra pari di oggetti, luoghi ed esperienze. L’Università Niccolò
Cusano ha stimato una crescita per il 2025 delle transazioni fino a 300
miliardi di euro e le maggiori potenzialità di espansione riguarderanno i
servizi legati al turismo.
Il cambio dei comportamenti di consumo non ha interessato solamente i
singoli cittadini ma anche le aziende. I primi esempi in questo ambito sono
stati i servizi di noleggio e di leasing delle auto aziendali. Successivamente
si è diffuso il noleggio a lungo termine di cellulari e computer, che
garantisce non solo di utilizzare il bene, ma anche di avere una continua
assistenza tecnica.
La diffusione di Internet, e l’uso dei big data, hanno reso più facile mettere
insieme domanda e offerta attraverso piattaforme online o app per
smartphone. In Italia la diffusione della sharing economy è ancora
lontana dai livelli che ha raggiunto in altri Paesi Ue o negli Usa, ma è in
forte sviluppo. Nelle maggiori città italiane è possibile acquistare servizi per
l’utilizzo di beni, tra i quali assumono sempre maggiore diffusione i prodotti per
i bambini (passeggini, abbigliamento, giocattoli, ecc.). Tuttavia il territorio
italiano è caratterizzato dalla presenza di piccolissimi comuni nei quali
manca ancora la disponibilità di una buona connessione internet e dove è
difficile soddisfare questi nuovi modelli di consumo. La preoccupazione
riguarda il rischio di un aumento delle disuguaglianze territoriali anche da
questo punto di vista, con la mancata diffusione di nuovi tipi di consumo degli
individui che non riescono ad accedere a nuovi servizi, con la conseguente
esclusione da un nuovo mercato innovativo, conveniente e sostenibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.