Una valutazione d’impatto per la responsabilità
sociale d’impresa.
Non tutti gli investimenti economici sono sostenibili e non tutte le attività sostenibili sono economiche. Il problema è individuare quelli che abbiano entrambe le caratteristiche: esistono, e sono molto più ampi di quanto possa sembrare.
di Renato Chahinian
Con la diffusione dei principi dello sviluppo sostenibile ha assunto sempre più
importanza la valutazione d’impatto, al fine di poter esprimere un giudizio sulla
validità delle iniziative per conseguirlo. Mentre per le politiche pubbliche e
pure per quelle private relative al settore non profit le stesse finalità degli enti
portano ad individuare azioni e fattori naturalmente in linea con i principi in
questione e, in presenza di una gestione razionale e lungimirante, si possono
certamente raggiungere risultati positivi per la sostenibilità sociale ed
ambientale, non è altrettanto semplice individuare una coerenza tra l’obiettivo
economico delle imprese ed il necessario contributo che pure queste devono
comunque fornire ai fini di uno sviluppo sostenibile. Anzi, in considerazione
delle prevalenti dimensioni della produzione privata rispetto all’attività pubblica
ed a quella del terzo settore, il contributo maggiore di miglioramento della
sostenibilità dovrebbe provenire proprio dall’insieme delle imprese.
Per queste si stanno affermando ora gli obiettivi della finanza sostenibile, i
quali, a seconda dell’attività aziendale specifica, possono riguardare uno o più
dei 17 Goals Onu dell’Agenda 2030, ma a condizione che venga comunque
assicurato un equo ritorno finanziario all’investitore.
Poiché non tutti gli investimenti economici sono sostenibili e non tutte le
attività sostenibili sono economiche, il problema è proprio quello di individuare
gli spazi comuni (investimenti contemporaneamente economici e sostenibili),
che certamente esistono e che sono molto più ampi di quanto possa sembrare
a prima vista, se si comincia a ripensare il business dalle fondamenta, a
riorganizzare la produzione in modo più attento ai problemi sociali ed
ambientali ed a prevedere i costi ed i benefici in un futuro di lungo termine.
Purtroppo una simile impostazione di pensiero strategico non è ancora molto
diffusa a livello aziendale, anche se non mancano numerosi casi di eccellenza
e note best practices. Eppure ogni attività imprenditoriale, anche la minore per
dimensione ed importanza, ha enormi potenzialità di miglioramento
sostenibile. Basti pensare, solo per fare qualche banale esempio: alla
possibilità di risparmiare energia con positivi effetti sui costi e sull’ambiente; al
miglioramento della professionalità dei propri dipendenti con evidenti capacità
di crescita della loro produttività; ad una più attenta eliminazione di sostanze
nocive nei processi produttivi con benefici effetti sulla salute dei dipendenti e
dei consumatori (elementi che apportano effetti reputazionali notevoli nei
mercati di sbocco dei prodotti).
Per facilitare una tale operazione di approfondimento a livello aziendale, è
essenziale una valutazione d’impatto che tenga conto globalmente degli effetti
economici, sociali ed ambientali delle innovazioni che si possono introdurre.
Poiché, però, i primi effetti sono monetizzabili (anche se le loro stime
preventive non sempre sono facili), sorge il problema del confronto e della
somma con altre grandezze che per lo più esprimono gli effetti sociali ed
ambientali. Ma anche questi ultimi, a loro volta, possono essere monetizzati
(almeno mediante una valutazione prudentemente per difetto ed entro un
certo ordine di grandezza), in quanto, in un’ottica di lungo periodo, daranno
luogo a costi e ricavi futuri (all’interno ed all’esterno dell’azienda).
In questo modo, si può arrivare ad una valutazione monetaria complessiva
dello sviluppo sostenibile generato dalla strategia che si vuol intraprendere,
con l’evidente possibilità di esprimere un valore creato di facile interpretazione
e comunicazione esterna, agli stakeholder ed alla collettività in generale.
Inoltre, questa metodologia permette di agganciarsi alle teorie economiche di
valutazione degli investimenti, sfruttandone le applicazioni e le proprietà già
note, come l’analisi costi – benefici, il discounted cash flow, il social return on
investment (SROI) ed altre. Infine, viene così stimolata la funzione
programmatoria e di controllo aziendale per il monitoraggio delle azioni che si
intraprendono, dalla valutazione ex ante a quella ex post.
Ovviamente, ciò serve per orientare il giudizio complessivo finale, che alla
fine, però, deve essere eminentemente qualitativo, perché è chiaro che non
tutto può essere quantificato e tanto meno monetizzato.
di Renato Chahinian, consulente in Economia e finanza dello svilupposostenibile