INFORTUNI SUL LAVORO – L’errore umano e la sicurezza sul lavoro – IL PUNTO DI VISTA DI UN PROFESSIONISTA

L’errore umano e la sicurezza sul lavoro
di Carmelo G. Catanoso – Ingegnere Consulente di Direzione


Quando ho cominciato ad occuparmi di sicurezza sul lavoro e cioè nella
seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, sentivo sempre ripetere che l’
errore umano era la spiegazione per gran parte degli infortuni sul lavoro
avvenuti nonostante gli ambienti e le attrezzature di lavoro fossero rispondenti
alle norme di legge e regolamentari vigenti.
Ancora oggi leggendo i giornali o ascoltando i servizi televisivi si continua a
fornire questo tipo di spiegazione per l’accadimento di questi eventi.
Personalmente penso che questo tipo di spiegazione si porti dietro il solito
approccio da normotecnosauri e cioè quello che porta a pensare che:
● i processi sono pianificati e tenuti sotto controllo;
● le regole a cui attenersi ci sono, sono note a tutti e concretamente
applicabili nelle varie situazioni di lavoro;
● se si è verificato un infortunio, allora la persona coinvolta non ha fatto
ciò che doveva fare.
Oggi possiamo dire che, almeno in una buona parte degli addetti ai lavori,
l’approccio che vedeva nell’ errore umano la spiegazione degli eventi
avvenuti, è stato completamente abbandonato.
Si è fatto strada, non senza fatica, l’approccio che vede l’errore come
conseguenza di situazioni contestuali in cui sono stati messi coloro che li
hanno commessi.
Ciò perché l’errore non è altro che una situazione in cui un lavoratore (o un
gruppo di persone) non è riuscito a trasferire le proprie competenze
nell’operatività del lavoro di cui era incaricato a causa di problemi legati a
scelte progettuali, all’organizzazione aziendale, al contenuto del bagaglio
formativo posseduto, ecc.
Pertanto, l’obiettivo di noi addetti ai lavori dovrebbe essere quello prevenire
tutte quelle situazioni che possono favorire o aumentare la possibilità degli
errori da parte dei lavoratori.
Spesso, inoltre, facciamo confusione tra i termini “errore” e “violazione”.
Proviamo a chiarire la differenza.
Possiamo definire l’errore come ogni tipo di malfunzionamento, durante
l’esecuzione di una serie di azioni, che non permette di ottenere il corretto
raggiungimento degli obiettivi fissati. Si tratta, quindi, di una deviazione in
rapporto a determinati riferimenti (nel nostro caso, sono principalmente norme
e regole per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro), anche se il
lavoratore non aveva alcuna intenzione di farlo. Ciò significa che quando
parliamo di errore parliamo sempre di qualcosa di non volontario.
La violazione, invece, è una deviazione volontaria rispetto i citati riferimenti.
Possiamo distinguere le violazioni, ovviamente escludendo quelle attuate con
l’intenzione di nuocere (sabotaggi, ecc.) trattandosi di veri e propri reati penali,
in tre tipologie:
● violazioni derivanti dal “costo” psicofisico elevato derivante dal rispetto
delle norme e delle regole ma le cui conseguenze sono percepite dal
lavoratore a basso o trascurabile impatto e sono anche accettate dal
gruppo di lavoro (reparto, squadra, ecc.); ovviamente, il livello di
tolleranza di queste violazioni da parte del gruppo è funzione del livello
della cultura della sicurezza dell’organizzazione;
● violazioni derivanti dal comportamento del singolo lavoratore e oggetto
di disapprovazione degli altri componenti del gruppo di lavoro;
● violazioni derivanti dall’esistenza di norme e regole contraddittorie o la
cui contemporanea applicazione non è concretamente attuabile.
A questo punto è opportuno rappresentare le varie tipologie di errore che
possono essere commesse durante la prestazione lavorativa.
La prima tipologia di errore si riscontra nella:
● esecuzione di automatismi nell’operatività come, ad esempio, quando si
crede di aver premuto l’interruttore n. 1 mentre non lo si è fatto oppure
quando si è premuto l’interruttore n. 2 inavvertitamente;
● quando a un movimento o azione mentale volontaria non corrisponde la
rispettiva e normale concretizzazione motoria o mentale come, ad
esempio, dovendo digitare un codice di attivazione, si sbaglia la
sequenza dei numeri da digitare;
● errata percezione come, ad esempio, quando si legge sul display della
consolle di comando di una macchina P4 invece di R4.
Questa tipologia di errore è sicuramente la più frequente ma è anche quella
più facile da identificare e correggere sia dal singolo operatore che dal gruppo
di lavoro.
Per ridurre la probabilità di accadimento di questa tipologia di errori, è
indispensabile che in fase di progettazione si prevedano sistemi che
richiedano, ad esempio, una conferma al comando impartito, una
predisposizione dei sistemi di azionamento che siano coerenti con il senso di
movimento che si vuole azionare, ecc..
Dal punto di vista procedurale, si può pensare, ad esempio, a forme di doppio
controllo.
La seconda tipologia di errore riguarda quella che si concretizza
nell’attuazione delle regole.
Ognuno di noi, con l’esperienza, si costruisce delle proprie regole. Un
operatore, lavorando ad una macchina si costruisce un proprio sapere
operatorio con proprie regole. L’applicazione di queste regole potrà andare
avanti per molto tempo fino a quando non si riscontrerà un’eccezione in grado
di rendere obsoleta la regola applicata dall’operatore facendogli commettere
l’errore.
Sempre rispetto alle regole, l’errore può anche derivare nella loro esecuzione
formale. Infatti, una certa situazione in uno specifico contesto può indurre un
operatore a seguire una regola che non andava applicata oppure a non
applicare una regola che andava applicata. Sempre nell’esecuzione formale
delle regole, l’errore può avvenire durante la sua esecuzione come, ad
esempio, quello derivante dal saltare una sequenza di attivazione per il
funzionamento di una macchina.
Questa tipologia di errore, pur essendo in percentuale molto inferiore rispetto
alla prima tipologia, è più difficile da individuare. Spesso, l’individuazione non
avviene da parte del personale coinvolto ma tramite segnalazione di terzi non
direttamente coinvolti.
Per ridurre questa tipologia di errore, le realtà più attente impongono
specifiche disposizioni organizzative che intervengono prima dell’esecuzione
delle operazioni: analisi dei possibili scenari con simulazioni, briefing
preventivi, ecc.
La terza tipologia di errore è direttamente connessa all’utilizzo delle
conoscenze disponibili da parte degli operatori. Su questo aspetto, chi scrive
ha trattato l’argomento nell’articolo “Regole, attività individuale e sicurezza
sul lavoro” pubblicato su Puntosicuro il 17/02/2021.
In genere ciò avviene quando non c’è una regola per affrontare una
determinata situazione e gli operatori devono attingere alle proprie
conoscenze per analizzare e rispondere in modo adeguato a ciò che si
trovano davanti.
Ciò può originare l’errore quando le conoscenze dell’operatore e le risorse
cognitive, tecniche ed organizzative non sono adeguate ad affrontare la
situazione imprevista che ci si trova davanti.
Questo tipo di errore è più raro rispetto alle precedenti due tipologie ma è
quello che può portare a gravi o gravissime conseguenze.
Per ridurre questa tipologia di errore è indispensabile agire sulla formazione
degli operatori con interventi che devono andare ben oltre quello che il
panorama dell’offerta formativa nazionale offre, visto che, ormai, si è quasi
tutta ridotta ad un corsificio/attestatificio.
Stiamo parlando di interventi che coinvolgano attivamente i partecipanti
presentando situazioni, il più possibile aderenti alle realtà socio-organizzative
in cui essi operano, in modo che i partecipanti acquisiscano quelle
conoscenze che servono loro per prendere una decisione, adottare un
comportamento, ecc.. Oltre, ad esempio, allo studio di casi, oggi l’evoluzione
delle tecnologie, unita alla loro facilità di acquisizione, permette l’utilizzo di
simulatori che possono ben soddisfare tali esigenze.
Comunque, oggi possiamo dire che l’approccio basato sull’errore umano è
stato, quasi del tutto, abbandonato.
Le motivazioni del perché ciò è avvenuto vanno ricercate in una serie di valide
ragioni.
Innanzi tutto, si è presa coscienza che gli errori che noi commettiamo sono
numerosissimi.
Immagino che nessuno di chi sta leggendo questo contributo possa affermare
di non aver mai compiuto un errore nell’eseguire una determinata serie di
azioni per raggiungere un determinato obiettivo. Ad esempio, il sottoscritto,
pur facendosi il caffè con la moka tutte le mattine, ogni tanto, incappa in
qualche lieve scottatura nel versarlo nella tazzina.
La maggior parte di questi errori non portano conseguenze serie in quanto
vengono contenuti nelle loro ricadute dalla stessa persona che li ha
commessi.
Questi errori, quando avvengono nei contesti lavorativi organizzati,
producendo serie conseguenze, devono essere analizzati per comprendere
perché essi non sono stati individuati e contenuti.
Altro aspetto importante è che quando il focus è l’errore umano, la
conseguenza immediata è quella che porta ad interessarsi solo degli eventi
che hanno avuto conseguenze negative senza effettuare la benché minima
analisi delle regole che garantiscono l’affidabilità dei processi aziendali.
Da non dimenticare anche un altro aspetto e cioè quello di trascurare che ogni
errore, sia esso con o senza conseguenze, non può prescindere dall’analisi
del contesto in cui esso si manifesta.
Questo perché, lo stesso errore in un differente contesto potrebbe non
generare alcuna conseguenza.
Quando diciamo, in seguito ad un evento, che una persona ha fatto un errore,
significa che stiamo pensando che questa abbia fatto qualcosa di diverso da
ciò che avrebbe dovuto fare.
Qui, tutti noi addetti ai lavori, diamo il meglio di noi stessi; infatti, ci mettiamo a
fare un’analisi ex post sulla base di tutta una serie di informazioni che la
persona coinvolta, non aveva nel momento in cui si è trovata in quella
determinata situazione.
Insomma, si dà per scontato che tutte le analisi fatte a posteriori su ciò che
andava fatto potessero essere effettuate anche dalla persona coinvolta
proprio nel momento in cui questa agiva.
Quando analizziamo un evento a posteriori, quasi sempre diamo per scontato
che per evitare o contenere l’evento, la persona coinvolta avrebbe dovuto
attingere in modo completo al bagaglio di competenze posseduto in modo da
rispondere in modo efficace a ciò che stava avvenendo.
In realtà ciò raramente avviene in quanto la risposta della persona in quella
situazione era influenzata da altre attività che, contemporaneamente,
impegnavano la sua risposta cognitiva.
Quindi, appare chiaro, che il modo di affrontare una determinata situazione
dipende, soprattutto, dal carico cognitivo che grava sulla persona, dalla sua
variabilità e dall’analisi in tempo reale che viene fatta per ciascuna delle
attività in cui è impegnata.
Infine, non va dimenticato che l’analisi di un evento è spesso centrata solo
sull’errore commesso dalla persona che, ad esempio, era addetta alla
conduzione della attrezzatura di lavoro coinvolta ma dimenticando che
l’attività della persona era fortemente influenzata da variabili che erano al di
fuori del suo diretto controllo come, ad esempio, la progettazione e
l’organizzazione del processo lavorativa in cui era impegnato.
In conclusione, si può affermare che un errore che avviene durante la
conduzione di una macchina o di un impianto sono direttamente connessi ad
errori di progettazione ed organizzazione.
Quest’ultima tipologia di errori rimane latente ma è palesemente in grado di
aumentare la probabilità che una persona adotti un comportamento
inadeguato per la situazione contestuale in cui sta operando.
A questo punto bisogna chiedersi cosa si debba fare per evitare che un errore
possa portare a gravi conseguenze.
La risposta che danno gli addetti ai lavori è sempre la stessa: creare delle
“barriere”.
A questo punto, chi sta leggendo, non potrà che pensare al classico Modello
del Formaggio Svizzero o Modello di Reason.
In questo modello le barriere sono di tipo “individuale”, “collettive”, “tecniche”
ed “organizzative”. Secondo Reason, un errore iniziale porterà ad un evento
grave solo se tutte queste barriere saranno superate.
Pertanto, se volessimo fare un’analisi di quanto avvenuto, non dovremmo
certo limitarci ad analizzare l’evento iniziale ma dovremmo focalizzarci
soprattutto sull’analisi delle cause che hanno portato le citate barriere a non
funzionare in modo efficace.
Questo modello, a parere di chi scrive, non è oggi più sufficiente.
Infatti, esso è pensato facendo riferimento a eventi la cui genesi e diffusione
può essere prevista e sulla cui base sono state individuate le citate barriere.
In realtà, molti eventi, sono frutto di una serie di combinazioni non prevedibili
che originano delle variazioni. Queste situazioni potranno essere affrontate e
gestite con successo solo se il personale presente sul luogo di lavoro è in
grado di percepire e comprendere che la variazione è pericolosa e fornire, di
conseguenza, una risposta adeguata (anche su questo aspetto, si rimanda
all’articolo “Regole, attività individuale e sicurezza sul lavoro”).
Appare chiaro che in un’organizzazione è necessario fondare un sistema
efficiente ed efficace per la gestione della salute e della sicurezza sul lavoro
su:
● misure in grado di rispondere a situazioni che si concretizzano in
scenari prevedibili;
● misure in grado di rispondere, grazie alla presenza di competenze
adeguate sul campo, a scenari non prevedibili.
In un’azienda dove la “Cultura della Sicurezza” è veramente diffusa, queste
misure sono parte integrante del modo di fare e di essere dell’organizzazione.
Ciò perché la vera e propria cultura della sicurezza è il prodotto dei valori,
degli atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei modelli di
comportamento individuali e di gruppo che determinano l’impegno nella
gestione della salute e della sicurezza integrando tale prodotto nel rapporto
tra l’organizzazione aziendale e gli individui che ne fanno parte.
Nel prossimo articolo analizzeremo gli elementi e le situazioni che aumentano
la probabilità che un errore venga commesso e cosa si possa fare per
contenerne le conseguenze.
fonte: PUNTO SICURO

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