IMBALLAGGI – È più sostenibile l’imballaggio riciclabile o quello riutilizzabile? Dipende. Lo studio dell’UNEP

È più sostenibile l’imballaggio riciclabile o
quello riutilizzabile? Dipende. Lo studio
dell’UNEP


Meglio gli imballaggi monouso o quelli riutilizzabili? Quelli in carta sono
più sostenibili di quelli in plastica monouso o no? Uno studio dell’UNEP
ci aiuta a capire che una soluzione passepartout non esiste. Ma delle
priorità sì
di Daniele Di Stefano
Le recenti polemiche sulla proposta di regolamento su imballaggi e rifiuti da
imballaggio presentata dalla Commissione europea hanno innescato una
discussione, finora lontanissima dei riflettori nel nostro Paese, sugli imballaggi
riutilizzabili. Si fronteggiano due punti di vista: il punto di vista della
Commissione, che spinge per la riduzione dei rifiuti e il riutilizzo degli
imballaggi, oltre che per il loro riciclo, perché ritenuti più sostenibili (e d’altra
parte ridurre, riutilizzare, e riciclare sono, in questo ordine, le prime tre R della
gerarchia dei rifiuti e dell’economia circolare). Punto di vista criticato da parte
delle imprese italiane del riciclo (e dal governo) e accusato di avere invece
come effetto proprio la sterilizzazione dell’economia circolare nazionale.
Ma allora, qual è l’imballaggio veramente sostenibile? Dipende. Dipende da
tanti fattori: dal contesto della filiera del riciclo nel quale l’imballaggio viene
utilizzato; dalla maturità delle politiche a sostengo del riciclo e del riuso e dalla
disponibilità dei consumatori ad una gestione più attenta degli imballaggi e dei
rifiuti che ne derivano; dalla quantità di materia prima seconda utilizzata per
realizzare l’imballaggio e dai chilometri che la logistica del riutilizzo deve
percorrere.
La metanalisi dell’UNEP sulle LCA: le alternative alla plastica
monouso negli imballaggi alimentari
Insomma, anche in questo caso, come ogni volta che si parla di sostenibilità,
non c’è una soluzione semplice, non basta uno slogan per dipanare la
questione. E anche la scelta che appare preferibile, sulla quale istintivamente
verrebbe di puntare, può rilevarsi meno sostenibile di altre. Ad aiutarci a fare
un passo in avanti verso la comprensione della questione è arrivato, ad
ottobre di quest’anno, un documento dello United Nations Environment
Programme (UNEP) elaborato nel nell’ambito della Life Cycle Initiative:
“Single-use supermarket food packaging and its alternatives:
Recommendations from life cycle Assessments”: “Una meta-analisi delle
valutazioni del ciclo di vita che traccia raccomandazioni per i responsabili
politici e i professionisti dell’LCA sulle soluzioni di imballaggio con il minor
impatto ambientale per gli alimenti dei supermercati”.
Grazie all’LCA (Life Cycle Assessment, metodologia di analisi che valuta
l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio lungo l’intero ciclo di vita)
il rapporto confronta gli impatti ambientali degli imballaggi in plastica monouso
rispetto alle opzioni alternative per alimenti da supermercato. “L’imballaggio
alimentare – spiega l’UNEP – è ben rappresentato nella letteratura LCA.
Questa meta-analisi si concentra sui recenti (pubblicati negli ultimi 10 anni)
studi LCA comparativi che considerano alternative agli imballaggi in
plastica monouso”. Dei circa 95 studi identificati in letteratura ne sono stati
approfonditi 33. L’analisi ha raggruppato gli alimenti in tre tipologie: prodotti
refrigerati, prodotti freschi e prodotti in scatola a lunga conservazione.
Leggi anche: Regolamento Ue sugli imballaggi, la Commissione
alleggerisce qualche target ma tira dritto sui principi
Qualche dato di contesto sugli imballaggi in plastica
L’OCSE ci fa sapere che gli imballaggi rappresentano il 31% della domanda
globale di plastica. Se, come fa l’UNEP, prendiamo ad esempio il mercato
nordamericano, gli imballaggi in plastica coprono il 43% della quota di
mercato dei contenitori rigidi (vaschette, vassoi, barattoli, bottiglie non per
bevande, fusti ecc.), il 67% degli imballaggi flessibili (buste, involucri,
sacchetti, teli, ecc.), 72% di tappi e chiusure e 100% di film (dati Franklin
Associates). La stragrande maggioranza degli imballaggi in plastica è
monouso, con il 40% dei rifiuti di plastica globali costituiti proprio da imballaggi
(OCSE). Restando ai rifiuti, UNEP ricorda anche che le plastiche flessibili e
multistrato rappresentano una “quota sproporzionata” di inquinamento da
plastica, pari all’80% della plastica dispersa negli oceani (The Pew Charitable
Trusts e Systemiq).
Secondo World Forum economico e Fondazione Ellen MacArthur, se
mantenessimo gli attuali approcci di design degli imballaggi, il 30% della
plastica da imballaggio non sarà mai riutilizzato o riciclato.
I risultati. La carne
Il quadro che emerge dalla metanalisi(analisi che combinare i dati di più studi
condotti su di uno stesso argomento) è caratterizzato da grande complessità,
come abbiamo anticipato. Non esiste una soluzione buona in ogni occasione,
prodotto, contesto.
Ecco allora che per alimenti come la carne, la cui produzione è associata ad
alti impatti ambientali, l’UNEP raccomanda che l’imballaggio dovrebbe dare “la
priorità alla minimizzazione degli sprechi alimentari”. Infatti, le LCA sugli
imballaggi di carne, sottolineano i ricercatori, mostrano chiaramente che il
contributo maggiore all’impatto ambientale è lo spreco alimentare, “con gli
impatti degli imballaggi in gran parte trascurabili”. Dunque si dovranno
privilegiare imballaggi che prolungano la durata e riducono lo spreco
alimentare anche quando sono associati a maggiori danni sull’ambientali. Un
peso determinante, poi, a parità di tecnologia, lo avranno i consumi dei
consumatori: “Non è sufficiente dimostrare le proprietà tecniche superiori
dell’imballaggio per renderlo migliore. Il comportamento e le preferenze dei
consumatori sono identificati da molti studi come un fattore determinante per
lo spreco alimentare”.
Dove sussistono buoni sistemi raccolta e gestione dei rifiuti, spiega l’UNEP,
l’uso di plastica biobased e compostabile può essere un aspetto positivo
perché favorisce lo smaltimento congiunto del cibo non consumato e del
packaging. Altro elemento positivo, una volta garantito quanto già illustrato, è
la riduzione dell’imballaggio, sempre a patto che non alimenti gli sprechi.
Leggi anche: Packaging per alimenti, 10 regole per avere sistemi di
riutilizzo scalabili
Gli altri alimenti
Diverso il discorso per gli imballaggi utilizzati per tutti gli altri cibi. I latticini, ad
esempio, per i quali “gli impatti ambientali legati alla produzione sono
paragonabili a quelli legati agli imballaggi”: adora mancano quindi chiare
raccomandazioni dalle valutazioni del ciclo di vita. Per questo il programma
ambientale dell’ONU raccomanda “Imballaggio selezionato per ridurre al
minimo lo spreco alimentare o ridurre i materiali di imballaggio (comprese le
opzioni riutilizzabili)”, a seconda di quale delle opzioni offra maggiori benefici
nel caso specifico. In questo caso sia la riduzione dei rifiuti alimentari che
quella dei materiale di imballaggio “sono entrambi fattori importanti”.
Esclusa la carne, “ovunque il tipo di cibo lo consenta, questo dovrebbe essere
venduto non imballato o in imballaggi riutilizzabili: questo è quasi sempre
ambientalmente preferibile alla confezione monouso”. Infatti, per gli alimenti la
cui produzione ha a un più basso impatto ambientale, “l’imballaggio
dovrebbe essere ridotto al minimo: dovrebbe essere eliminato o
progettato per essere riutilizzabile ovunque fattibile”. “Ovunque fattibile”
vale a dire “ovunque gli impatti delle perdite alimentari e/o le operazioni
logistiche non sono superiori agli impatti dell’imballaggio”.
UNEP ricorda ad esempio come le LCA sugli imballaggi dei prodotti freschi
mostrano che significativi vantaggi ambientali possono essere ottenuti
con imballaggi per il trasporto riutilizzabili, “che possono essere impiegati
anche nell’esposizione al dettaglio dei prodotti, eliminando così la necessità di
una confezione destinata al consumatore”. Per questo, sottolinea l’UNEP,
“dovranno essere trovate soluzioni per riconfigurare le catene di
approvvigionamento e il retail, con l’obiettivo di rendere facile e conveniente
per le persone acquistare prodotti sfusi”. Infatti,
Nel caso dei prodotti a lunga conservazione, deve essere sempre la
minimizzazione o l’eliminazione dell’imballaggio a guidare la scelta
(“l’imballaggio dovrebbe essere ridotto al
minimo/evitato/ricaricabile/restituibile”). UNEP distingue diverse opzioni di
contesto per fare la valutazione migliore. Per i prodotti a lunga conservazione,
in contesti con legislazioni e consumatori favorevoli, sono da preferire
imballaggi riutilizzabili dove i sistemi di gestione dei rifiuti non siano efficienti;
dove invece lo sono si può scegliere il riutilizzo efficiente (logistica adeguata e
alto numero di riutilizzi) o l’usa e getta con imballaggi ad alto contenuto
riciclato.
Per i prodotti secchi , nel caso di sistemi di gestione inadeguati, la scelta
dovrebbe ricadere sullo sfuso gestito con imballaggi di trasporto riutilizzabili
(casse in plastica), che in questo contesto risultano più efficiente degli
imballaggi monouso. Nel caso invece di sistemi più efficienti di gestione dei
rifiuti, vince ancora lo sfuso ma il trasporto verso il retail può avvenire o con
imballaggi riutilizzabili o con cartoni ad alto contenuto di materia riciclata.
La sostituzione della plastica monouso
L’UNEP boccia la soluzione ‘facile’ della sostituzione del monouso in plastica
col monouso di altro materiale, “che nella maggior parte dei casi non
rappresenta una soluzione”. Infatti le LCA degli imballaggi monouso, leggiamo
nel documento, “tendono a mostrare che le materie plastiche hanno gli impatti
più bassi, principalmente grazie al loro peso ridotto rispetto ad altri materiali”.
Le sostituzioni con cartone, vetro, acciaio o alluminio tendono a mostrare
“impatti più elevati, oppure nella migliore delle ipotesi, un compromesso tra
diversi impatti”.
È importante aumentare la raccolta e il tasso di riciclaggio dei rifiuti per
migliorare la sostenibilità degli imballaggi. Maggiore contenuto riciclato nei
materiali di imballaggio ne riduce gli impatti ambientali.
Leggi anche: Packaging e alternative alla plastica, sono davvero
più sostenibili?
Le raccomandazioni
“Gli attuali ambienti legislativi – sottolinea l’UNEP – tendono a favorire i
sistemi di imballaggio monouso. Creare condizioni di parità è quindi
essenziale per la diffusione di sistemi di imballaggio riutilizzabili”. Da questo
punto di vista, alcune misure possono fare la differenza:
● Misure economiche che aiutano a rimuovere le barriere del mercato per
i sistemi di imballaggio riutilizzabili, ad esempio agendo sulle tasse su
rifiuti di imballaggio;
● Norme per l’imballaggio alimentare che affrontino l’over-packaging e
richiedono un migliore design;
● Legislazione sulla responsabilità estesa del produttore (EPR), che
dovrebbe includere misure concrete di stimolo al riutilizzo, ad es.
obiettivi da raggiungere, cosa che “manca nella maggior parte dei Paesi
che hanno implementato l’EPR”.
Le raccomandazioni per gli imballaggi riutilizzabili
Dal programma ONU per l’ambiente arrivano raccomandazioni anche per i
sistemi di imballaggi riutilizzabili, delineando un perimetro all’interno del quale
sono più sostenibili di altre soluzioni:
● E’ necessario considerare l’intero sistema di confezionamento
quando si scelgono imballaggi riutilizzabili. Lo sfuso rivolto al
consumatore non è necessariamente la migliore soluzione ambientale
“a meno che l’imballaggio utilizzato nella distribuzione del prodotto
sfuso verso il punto vendita sia notevolmente più efficiente dal punto di
vista dei materiali rispetto al tradizionale imballaggio monouso”.
Imballaggi a rendere e imballaggi riutilizzabili per il trasporto (ad
esempio le casse) possono essere un’opzione inadatta quando la
reverse logistics è inefficiente; quando le distanze percorse per il
trasporto durante la raccolta e la ridistribuzione delle casse sono
elevate; quando il numero di riutilizzi è basso e i requisiti di
lavaggio/igienizzazione sono molto elevati (o eseguiti in modo
inefficiente);
● Gli impianti di lavaggio/distribuzione degli imballaggi riutilizzabili
diffusi sul territorio sono preferibili ad un unico impianto centralizzato:
questo minimizza la distanza media del trasporto e quindi le emissioni. I
meccanismi di pooling in cui diverse aziende condividono la stessa
risorsa per ottimizzare operazioni e costi possono essere utili per
raggiungere questo obiettivo;
● Promuovere l’uso di energia rinnovabile nel lavaggio e negli impianti di
ricondizionamento;
● Incoraggiare la standardizzazione degli imballaggi, poiché questo
facilita i sistemi di pooling e deposito su cauzione (un’azienda/cliente
“affitta” anziché possedere la confezione). Sia il pooling che gli schemi
di deposito su cauzione “si sono dimostrati altamente efficaci
nell’aumentare i tassi di restituzione degli imballaggi riutilizzabili e
ridurre le emissioni (attraverso una migliore logistica)”;
● Per i sistemi di imballaggio alimentare riutilizzabili si dovrebbero
garantire prezzi competitivi rispetto a quelli monouso, sia per il retailer
che per il consumatore. Questo è possibile garantendo premi al
rivenditore che sceglie questa opzioni, e attraverso una legislazione che
assicuri i giusti incentivi economici (ad esempio agevolazioni fiscali
sui prodotti venduti in confezioni riutilizzabili).
Leggi anche: Regolamento imballaggi, è scontro aperto
Le raccomandazioni per gli imballaggi in plastica monouso
Laddove il monouso in plastica sia preferibile, l’UNEP fornisce
raccomandazioni anche per renderlo più sostenibili:
● I tassi di raccolta e riciclaggio devono essere “drasticamente” migliorati.
E deve aumentare la quantità di materia prima seconda negli
imballaggi;
● Per ottenere questo risultato, l’imballaggio deve essere progettato per
essere riciclato. Tra la soluzioni indicate, ad esempio, il passaggio al
monomateriale; evitare materiali multistrato e compositi; evitare
coloranti, pigmenti e altri additivi che possono compromettere il riciclo;
evitare polimeri che sono difficili da riciclare o per i quali mancano
infrastrutture per il riciclaggio;
● Nel caso di imballaggi alimentari contaminati dal loro contenuto, l’UNEP
ricorda che l’uso di plastiche biobased e biodegradabili potrebbe
essere la giusta soluzione (a patto che si garantisca una corretta
gestione dei rifiuti evitando la contaminazione incrociata coi rifiuti in
plastica tradizionale).
● L’ecodesign ha sempre un ruolo centrale. Infatti un design di
imballaggio non efficiente provoca impatti indiretti come la difficoltà ad
estrarre l’intero contenuto alimentare della confezione (con la
conseguenza di un maggiore spreco di cibo). In casi come questo si
corre il rischio che tutti i benefici garantiti dalla qualità ambientale dei
materiali vengano ribaltati dagli impatti ambientali del cibo sprecato (su
questo tema, sottolinea UNEP, non ci sono sufficienti studi LCA).
fonte: ECONOMIA CIRCOLARE .COM

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.