FISCO – Agriturismo e regimi speciali: probabile svista del legislatore e dell’Agenzia delle Entrate

Agriturismo e regimi speciali: probabile
svista del legislatore e dell’Agenzia delle
Entrate


di Francesco Giuseppe Carucci
Sarà convertito senza modifiche, a causa della crisi politica, il decreto
Semplificazioni, n. 73 del 21 giugno 2022. Non troveranno spazio, pertanto,
numerosi emendamenti proposti in materia fiscale.
Tra questi vi è l’emendamento presentato per uniformare i regimi fiscali
speciali relativi alle attività agrituristiche ai regimi vigenti per la generalità delle
attività agricole connesse di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del Codice
Civile. Tuttavia, al riguardo, occorrono alcune riflessioni che porterebbero, in
realtà, a ritenere comunque superata la disposizione dell’articolo 5 della legge
n. 413 del 30 dicembre 1991 che istituiva regimi speciali per la determinazione
delle imposte sui redditi e dell’IVA a favore degli esercenti attività
agrituristiche.
A differenza di quanto previsto per la generalità delle attività agricole
connesse di fornitura di servizi, i due regimi speciali dell’agriturismo possono
essere invocati, o revocati per opzione, esclusivamente in maniera congiunta.
Inoltre, a differenza delle altre attività connesse, rappresentano i regimi
naturali anche per società in nome collettivo e società in accomandita
semplice.
Regimi speciali attività agricole connesse di fornitura di servizi – La legge n.
350 del 2003, con l’articolo 2, comma 6, ha introdotto nel TUIR il comma 3
dell’articolo 56-bis. Per le attività agricole di fornitura di servizi, cui sono
riconducibili le attività «di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge» di
cui all’articolo 2135 del Codice Civile riformulato dal D. Lgs. n. 228/2001, in
virtù della norma del 2003, il reddito è determinato applicando all’ammontare
dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti
dell’Imposta sul Valore Aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di
redditività del 25%.
Con il comma 7 dell’articolo 2 della legge n. 350/2003, è stato introdotto nel
D.P.R. n. 633/1972 l’articolo 34-bis in virtù del quale, per le attività dirette alla
produzione di beni e alla fornitura di servizi di cui al terzo comma dell’articolo
2135 C.C., l’IVA è dovuta nella misura del 50% dell’imposta relativa alle
operazioni imponibili.
I due regimi rappresentano regimi naturali e possono essere derogati per
opzione verso i regimi ordinari. Sono indipendenti l’uno dall’altro con la
conseguenza che un esercente attività agricola connessa di fornitura di servizi
(si pensi all’esempio ad un imprenditore agricolo che con le sue macchine
agricole si occupa di lavorazioni dei terreni per conto terzi) può liberamente
adottare il regime IVA naturale di cui all’articolo 34-bis del D.P.R. n. 633/1972
e optare, ai fini delle imposte sui redditi, per la determinazione del reddito nei
modi ordinari (o viceversa regime IVA ordinario e regime forfettario per le
imposte sui redditi).
Tutti i regimi speciali per la determinazione del reddito previsti dall’articolo
56-bis del TUIR sono preclusi ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere
a), b) e d), nonché dalle società in nome collettivo ed in accomandita
semplice. Possono transitarvi, pertanto, gli imprenditori individuali, le società
semplici e gli enti pubblici e privati, diversi dalle società che non hanno per
oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale.
Particolarità per l’agriturismo – I regimi per la generalità delle attività agricole
connesse, in quanto destinati alle attività di produzione di beni e fornitura di
servizi previste dal terzo comma dell’articolo 2135 del Codice Civile,
dovrebbero intendersi destinati anche all’agriturismo. Tuttavia così non è, o,
per lo meno, in apparenza.
L’articolo 5 della legge n. 413/1991 aveva istituito due regimi speciali, redditi e
IVA, per coloro «che esercitano attività di agriturismo di cui alla legge 5
dicembre 1985, n. 730» a cui ancora oggi si attribuisce efficacia. La legge n.
730/1985, tuttavia, è stata abrogata dall’articolo 14 della legge n. 96 del 20
febbraio 2006. Con l’abrogazione della legge n. 730/1985, si dovrebbe
intendere abrogata tacitamente anche la disposizione dell’articolo 5 della
legge n. 413/1991 ritenendola non più vigente dal 2006. Ciò, in virtù
dell’articolo 15 delle “preleggi” secondo il quale «le leggi non sono abrogate
che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per
incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova
legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore».
Oggi, dunque, non esistono più «attività di agriturismo di cui alla legge 5
dicembre 1985, n. 730». Esistono, tutt’al più, le attività di agriturismo di cui alla
legge 20 febbraio 2006, n. 96 che non si possono ritenere contemplate
dall’articolo 5 della legge n. 413/1991. Ciò in quanto le norme fiscali che
recano agevolazioni (come le agevolazioni che conseguono ai regimi speciali
in argomento) sono di stretta interpretazione ai sensi dell’articolo 12 delle
“preleggi” e non possono essere interpretate per analogia.
Alla luce delle suesposte considerazioni, anche per le attività agrituristiche
dovrebbero valere i regimi di cui agli articoli 56-bis del TUIR e 34-bis del
D.P.R. n. 633/1972. Tuttavia, di tutto ciò pare che non solo non si sia resa
conto l’Agenzia delle Entrate, ma, ancor più grave, che non se ne sia reso
conto lo stesso legislatore. La prima, ad esempio, nel rigo VO32 del quadro
VO del modello IVA reca ancora il riferimento ai due particolari regimi di cui
all’articolo 5 della legge n. 413/1991. Il legislatore, invece, nell’estendere i
regimi speciali all’enoturismo e all’oleoturismo tra il 2017 e il 2019, ha fatto
riferimento alla norma del 1991 e non ai regimi introdotti dalla legge n.
350/2003.

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