Credito d’imposta R&S: il ruolo del Mise

Credito d’imposta R&S: il ruolo del Mise


di Fabiano De Leonardis
Come ben sappiamo, in tempi recenti, l’Agenzia delle Entrate, al fine di
deflazionare il ricorso al contenzioso tributario e contestualmente promuovere
lo strumento del riversamento spontaneo, ha inviato alle imprese che hanno
compensato crediti d’imposta R&S ex art. 3 D.L. 145/2013, numerose lettere
di compliance spesso corredate da una valutazione preliminare della
posizione fiscale del contribuente e dalla segnalazione di indicatori di
anomalia che rimandano a una possibile indebita fruizione del beneficio
fiscale in esame.
Il lavoro accertativo condotto dall’Agenzia delle Entrate, come più volte
sottolineato nei nostri recenti contributi editoriali, è stato tuttavia oggetto di
numerose contestazioni da parte di un sempre più cospicuo filone
giurisprudenziale a tutela del contribuente e che tende ad ammonire il lavoro
ispettivo svolto dall’Agenzia delle Entrate in merito ad una serie di aspetti tra
cui l’assenza di adeguate competenze tecniche ed il correlato mancato
coinvolgimento del Mise, l’erronea interpretazione del manuale di Frascati alla
luce soprattutto dell’assenza di una traduzione giurata in lingua italiana fino al
2022 ed il pressoché automatico inquadramento delle violazioni nell’ambito
della fattispecie di credito inesistente e non del credito non spettante, con i
conseguenti rilevanti aspetti sanzionatori.
Per quanto riguarda il ricorso al parere tecnico del Mise, l’art. 8 del D.M.
27.05.2015 stabilisce che, nel caso in cui durante le attività di verifica
effettuate dall’Agenzia delle Entrate, “si rendano necessarie valutazioni di
carattere tecnico in ordine all’ammissibilità di specifiche attività ovvero alla
pertinenza e congruità dei costi sostenuti, la predetta Agenzia può richiedere
al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere”. Il tenore
letterale della norma sembrerebbe limitare la discrezionalità tecnica dell’AdE
la quale non può esercitarla autonomamente senza ottenere il parere
necessario degli organi tecnici.
Sull’argomento si è spesso pronunciata una nutrita giurisprudenza. Anzitutto
si segnala la Sentenza n. 365/3/2021 della CTP di Vicenza in cui i giudici,
riscontrando l’assenza di un adeguato rigore tecnico da parte dell’AdE, hanno
posto un ostacolo all’azione di recupero del credito in quanto riconducibile ad
un “eccesso di potere dell’Ufficio”, il quale “avrebbe dovuto acquisire
autonomamente un preliminare parere tecnico da parte del competente
Ministero dello Sviluppo Economico”.
Lungo la stessa linea si pone la sentenza n. 392/2/2021 della CTP di Ancona
la quale, partendo dall’assunto che la fruizione del beneficio fiscale è
subordinata al riscontro di presupposti quasi sempre di natura tecnologica e di
rilevante complessità, statuisce il ruolo fondamentale del parere tecnico del
Mise, rimproverando contestualmente all’Agenzia delle Entrate un approccio
“da autodidatta da parte di un soggetto pubblico che, sia pure ampiamente
strutturato, non ha le specifiche competenze, invocando i manuali redatti a
livello internazionale in questo campo”.
La sentenza della CTP di Ancona viene altresì richiamata nella pronuncia
della CTP Napoli del 2 maggio 2022 con la Decisione n. 4988/30/22. Anche in
tal caso, i giudici evidenziano che “la richiesta di parere al MISE costituisce
una facoltà e non un obbligo”, tuttavia “tale facoltà, a fronte di problematiche
tecniche di grande complessità ……… doveva necessariamente essere
esercitata, sia perché l’Agenzia delle Entrate non può rivendicare dirette
conoscenze di natura tecnico-scientifica tali da consentire una congrua
valutazione circa la rispondenza delle attività di ricerca e sviluppo ai parametri
normativamente previsti per la fruizione del credito d’imposta, sia perché le
pur articolate motivazioni espresse nell’atto impositivo, in mancanza di un
parere tecnico emesso dall’organo a ciò preposto (il MISE), si pongono di fatto
sullo stesso piano delle altrettanto articolate deduzioni difensive e, quindi,
appaiono intrinsecamente insufficienti a legittimare la pretesa impositiva”.
Tra le più recenti pronunce infine, abbiamo la Sentenza CTP La Spezia n. 225
del 27.07.2022. Il documento normativo, accogliendo il ricorso del
contribuente, torna a ribadire il principio secondo il quale, per accertare
l’illegittimità di un credito per ricerca e sviluppo, l’Agenzia delle Entrate deve
necessariamente richiedere un preventivo parere al MISE; come riportato
nella sentenza la CTP non ha accolto le contestazioni avanzate dall’agenzia,
affermando che “questa Commissione, non essendo tecnico specializzato in
valutazione di opere e/o scoperte scientifiche utili allo scopo di cui all’articolo 3
del D.L. n. 145/2013, ritiene che non lo sia nemmeno l’Ufficio, il quale ha
motivato il recupero del credito senza motivazioni accettabili e sostenibili, oltre
a non richiedere specifico parere tecnico”.
Il coinvolgimento del Mise rimane tuttavia argomentazione oggetto di posizioni
a volte contrapposte. Orientamento diametralmente opposto rispetto alle
sopracitate sentenze si rinviene ad esempio nella risposta del Governo all’
interrogazione parlamentare n. 3-02610 pubblicata il 15.06.2021 e nella quale
viene confermato il carattere residuale e discrezionale della richiesta di parere
tecnico al Mise il cui intervento viene inquadrato come una mera facoltà
azionabile dall’AdE solo in caso di accertamenti di particolare complessità
tecnico-scientifica.
L’acquisizione del parere tecnico del Mise viene considerata come
un’evenienza residuale anche dal Comando Generale della Guardia di
Finanza come espresso nella Circolare GdF 10419 del 28 luglio 2021. Il citato
documento stabilisce che occorre razionalizzare le richieste nei confronti del
Mise e che i reparti della GdF, in caso si rendesse necessario un
approfondimento circa l’ammissibilità, effettività ed inerenza dei costi alla base
della determinazione del credito d’imposta, instaureranno anzitutto un
coordinamento tecnico-operativo con le direzioni provinciali e regionali
dell’Agenzia delle entrate. L’interessamento del Mise verrà limitato solo ai casi
di obiettiva incertezza e complessità come, ad esempio, la valutazione tecnica
inerente le novità risultanti dall’attività di ricerca e sviluppo rispetto al mercato
di riferimento, la concreta distinzione nei confronti delle ordinarie attività
dell’impresa ovvero il grado di significatività dei miglioramenti apportati ai beni
già realizzati dall’impresa ai fini della distinzione rispetto alle modifiche di
routine o di normale sviluppo del prodotto.
Non da ultimo, si segnalano le recenti sentenze della Corte di Cassazione,
Sezione III Penale, n. 32330 del 2022 e n. 32331 del 2022, in cui viene
affrontata la questione della configurabilità o meno del reato di indebita
compensazione ex articolo 10-quater D.lgs. 74/2000 in caso di utilizzo di un
credito per ricerca e sviluppo inesistente; in tale occasione, la Corte di
Cassazione statuisce il principio secondo il quale è irrilevante, nel giudizio
penale, l’omessa acquisizione del preventivo parere del MISE da parte
dell’Agenzia delle Entrate sulla spettanza del credito di imposta ricerca e
sviluppo. Di seguito il passaggio: “Del tutto destituita di fondamento, poi, è la
deduzione concernente la necessità di acquisire il parere del Ministero dello
Sviluppo Economico, a norma dell’art. 3, comma 12, d.l. n. 145 del 2013 e
dell’art. 8 D.M. 27 maggio 2015, per accertare l’inesistenza del credito
utilizzato in compensazione. Le disposizioni indicate, infatti, si limitano a
prevedere i controlli da effettuare in sede amministrativa ai fini della verifica
della effettività dei crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, ma non
stabiliscono alcuna “riserva di accertamento” amministrativa pregiudiziale
rispetto alle valutazioni del giudice penale”.
Da quanto esposto emerge un quadro indubbiamente complesso in cui, alla
forte diffusione del credito d’imposta in R&S, fa tuttavia da contraltare una
normativa non sempre d’immediata applicazione e che non facilmente
accoglie un comune allineamento da parte degli enti preposti. Per quanto
concerne il ruolo ispettivo condotto dall’Agenzia delle Entrate, resta comunque
il dato di fatto che non tutti i funzionari preposti nei vari uffici dell’ente sono in
grado di effettuare valutazioni tecniche e di merito e per tale motivo, l’attività
procedimentale di accertamento dovrebbe trovare un più sistematico supporto
tecnico nella competenza di altri organi adeguatamente competenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.