ANALISI E CURIOSITA’ – CONFLITTO IN UCRAINA – I 100 GIORNI CHE CAMBIARONOL’EUROPA

I 100 GIORNI CHE CAMBIARONO
L’EUROPA


Sono passati 100 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina. Un conflitto che sta
mettendo l’Europa a dura prova e di cui ancora non si vede la fine
Cento giorni. Tanto è passato da quando le truppe russe hanno varcato i confini
dell’Ucraina dando inizio alla guerra di invasione voluta dal Cremlino e da Vladimir
Putin. Cento giorni che hanno cambiato l’Europa e messo in crisi la fragile illusione
che conflitti di vasta portata sul proprio territorio fossero relegati in un passato
destinato a non ritornare. Sul terreno le truppe di Mosca continuano la loro lenta
avanzata nell’est dell’Ucraina: nelle ultime ore sono penetrate in profondità nella
città di Severodonetsk e hanno cominciato ad avanzare verso Lysychansk. Ma a
scioccare gli aggrediti e l’Europa, in questi tre mesi e più di violenze, non è stata la
potenza militare dell’invasore quanto la ferocia delle sue azioni indiscriminate:
Bucha, Irpin, il teatro di Mariupol sono diventate le tappe di una discesa agli inferi
collettiva cui nessuno avrebbe voluto prendere parte. Allo stato attuale – secondo
Volodymyr Zelensky, che questi cento giorni hanno trasformato da
presidente-comico in leader indomito dell’Ucraina – Mosca controlla ormai un quinto
del territorio ucraino. Il Cremlino, insiste Zelensky “ha distrutto quasi l’intero
Donbass che era uno dei centri industriali più importanti d’Europa”, causato decine di
migliaia di morti, milioni di profughi, raso al suolo intere città. Un dramma senza fine,
con oltre 200mila bambini ucraini deportati in Russia, denuncia Kiev, dove rischiano
di essere naturalizzati. Uno scenario a cui l’Europa guarda con orrore, ma sembra
incapace di rispondere con fermezza, mentre la guerra che oggi insanguina
l’Europa, domani rischia di affamare il mondo.
La fine di un’idea?
La guerra in Ucraina “è la fine di un’idea. Che il commercio e la prosperità
potessero dissolvere le vecchie rivalità europee. Che quell’accesso agli iPhone, a
Instagram e ai mobili Ikea potesse raffreddare gli impulsi sciovinisti che avevano
alimentato secoli di storia sanguinosa”: è l’amaro commento del Guardian in un
lungo articolo che ripercorre giorno per giorno le tappe della guerra. Ricordando che
23 febbraio, a poche ore dall’inizio del conflitto, “nonostante gli avvertimenti
insolitamente specifici da parte del governo statunitense di un’imminente invasione
e l’accumulo di forze in Russia e Bielorussia, gli ucraini non si erano fatti prendere
dal panico. Non c’erano code ai confini occidentali. Il sabato sera precedente i caffè
e i bar di Kiev erano gremiti. La gente continuava a fare progetti per vacanze, a
prendere appuntamenti e prenotare lezioni di nuoto per i propri figli”. Nessuno
credeva che sarebbe successo davvero. Analisti e osservatori facevano notare
che le forze russe ammassate al confine erano troppo poche per occupare il paese.
E i media russi avevano fatto poco per preparare l’opinione pubblica ad una guerra.
Inoltre, un’invasione avrebbe scatenato sanzioni economiche così rovinose per
l’economia russa che nessun leader avrebbe osato rischiare. “Era tutto vero – chiosa
il quotidiano inglese – eppure tutti si sbagliavano”.
Quanto pesa il fattore tempo?
Al giro di boa dei primi 100 giorni di guerra però, l’attenzione del mondo nei confronti
dell’Ucraina scema: lo rivelano i dati di NewsWhip forniti in esclusiva ad Axios
secondo cui sugli articoli pubblicati sull’Ucraina tra la prima settimana e l’ultima
settimana di guerra c’è stata una diminuzione di 22 volte delle interazioni sui social
media (da 109 milioni a 4,8 milioni). Una tendenza che si riflette anche nel volume
della copertura dei media online, che è in costante diminuzione: da 520.000 articoli
nella prima settimana, fino a 70.000 più recentemente. Ed è questa progressiva
indifferenza – secondo CNN – il fattore su cui Vladimir Putin conta per trarre il
massimo vantaggio dalla guerra. Gli ucraini, al contrario, temono che la ‘stanchezza’
internazionale possa portare la comunità internazionale a fare pressioni sul proprio
governo per fare concessioni a Putin. “Voi avete gli orologi, ma noi abbiamo il
tempo”: un detto, quello attribuito a un combattente talebano, catturato che
riassumeva il dilemma dell’intervento americano in Afghanistan e che potrebbe
applicarsi bene anche all’attuale conflitto. E che rivela come il fattore decisivo in
Ucraina potrebbe rivelarsi, ancora una volta, il tempo.
Una guerra senza vincitori?
Appena in tempo per i 100 giorni di guerra, l’Unione Europea è riuscita ad
approvare finalmente il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Ma non prima
di dover cedere ad un nuovo ricatto del premier ungherese Viktor Orban che,
oltre all’esenzione dall’embargo sul petrolio per l’Ungheria ha chiesto e ottenuto che
il patriarca Kirill, capo della chiesa ortodossa di Mosca, fosse cancellato dalla lista
nera dell’Ue. Mentre affronta la crisi ucraina, infatti, l’Europa si ritrova a fare i conti
con le sue debolezze e divisioni e i limiti imposti da norme e trattati comunitari che
impongono l’unanimità per le decisioni di politica estera ed economica. Molti stati
membri sono delusi dal comportamento di Budapest, e altri si comandano cosa si
debba fare per impedire che la strategia del ‘ricatto ungherese’ condizioni
nuovamente le politiche dell’Unione. Ma la sensazione, a Bruxelles come in altre
capitali europee, è che la partita sia stata giocata male e che sia arrivato il momento
di prendersi una pausa. Le lunghe settimane di negoziati sull’embargo al petrolio –
che comunque non entrerà in vigore prima della fine dell’anno – hanno lasciato il
segno, mentre le crepe tra i 27 sono sempre più visibili. E se l’Europa è “al fianco
dell’Ucraina” come ha ribadito oggi Ursula von der Leyen, non può fare a meno di
guardare in faccia la realtà: “Abbiamo assistito per 100 giorni a ciò che è stato perso:
vite, case, lavoro e prospettive – ha sintetizzato Amin Awad, coordinatore Onu per la
crisi in Ucraina – Ma sappiamo che questa guerra non ha e non avrà vincitori”.
a cura di: ISPI

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