ANALISI E COMMENTI – La deriva delle competenze …..

La deriva delle competenze
di Ester Annetta


Alcuni anni fa ebbe inizio, a livello europeo, una profonda discussione sul
tema delle competenze necessarie agli individui per realizzare e garantirsi il
“pieno sviluppo”, evidenziandosi perciò la necessità di ricomprendervi gli
ambiti della formazione, dell’istruzione, dell’orientamento al lavoro e del
benessere sociale. Nacquero così delle Raccomandazioni (la prima nel 2006,
poi rielaborata nel 2018) in cui vennero cristallizzate le 8 competenze chiave
europee per l’apprendimento permanente, tese ad individuare gli ambiti e i
percorsi che, durante tutto l’arco dell’esistenza (lifelong learning) ogni
individuo è chiamato a seguire e incrementare per raggiungere il successo
formativo.
Neanche a dirlo, in aderenza alle mutate esigenze dei tempi, tra le 8
competenze è stata individuata anche quella digitale, intesa come la
competenza propria di chi sa utilizzare con dimestichezza le nuove tecnologie
con finalità di istruzione, formazione e lavoro.
Di conseguenza, sull’onda della crescente funzione comunicativa assunta da
tali tecnologie, si è cominciato anche a parlare di “alfabetizzazione mediatica”,
sottolineandosi – come ebbe ad affermare Viviane Reding, che nel 2006
rivestiva la carica di commissario europeo responsabile della società
dell’informazione e dei media – che “Al giorno d’oggi l’educazione ai media è
di importanza vitale per poter esercitare una cittadinanza piena e attiva, così
come lo è stata l’alfabetizzazione all’inizio del XIX secolo”
Con quell’espressione si individua, infatti, un insieme di competenze
consistenti nella capacità di comprendere, analizzare e valutare il valore di
immagini, suoni e messaggi nonché di sceglierli ed utilizzarli in maniera
consapevole. Una forma di ‘educazione’, dunque, destinata ad aiutare i
cittadini a riconoscere il modo in cui i media veicolano percezioni e idee
destinate a plasmare la cultura di massa e ad influenzare le scelte personali,
volta perciò a sviluppare il loro senso critico per farne consumatori informati e,
a loro volta, corretti produttori di informazioni.
In finale, si traduce nell’esigenza di contrastare fenomeni quali il
cyberbullismo, l’hate speech, le fake news ed ogni alta modalità distorta di
utilizzo degli strumenti tecnologici di comunicazione.
Mi soffermo a riflettere su questa, tra le tante e bellissime dichiarazioni di
intenti che (indipendentemente dalla circostanza che siano raccolte in
Raccomandazioni (facoltative) o in Direttive, leggi Comunitarie o statali
(obbligatorie)) costellano il nostro universo normativo, proprio nel momento in
cui – quasi fosse evocata dalla lettura propostami da un preziosissimo
manuale di metodologie e tecnologie didattiche – si affaccia sul mio pc la
notifica di una notizia di attualità che va in esatta controtendenza.
Si tratta dell’ultima, agghiacciante, sfida lanciata tra gli adolescenti su tik tok e
già divenuta virale. Si chiama “Boiler Summer Cup” e non si riferisce affatto ad
una gara tra elettrodomestici, poiché il “boiler” o “scaldabagno” in questione
altro non è che lo spregiativo con cui vengono etichettate le ragazze in carne.
La regola della sfida è quella di adescare in discoteca ragazze in sovrappeso,
riprenderle a loro insaputa mentre ballano e poi postare il video su tik tok con
tanto di commenti e sberleffi. Esiste perfino un punteggio che aumenta
proporzionalmente al peso stimato della vittima: 80-90 kg vale un punto,
90-100: 2 punti, 100-110: 3 punti, oltre i 110 ben 5 punti. Chi colleziona il
punteggio maggiore con più “boiler” vince un ingresso gratuito in un locale a
scelta.
L’effetto di questo scandaloso gioco è evidentemente devastante per le
vittime, che nella totalità dei casi ritrovano le proprie immagini postate sui
social e condivise all’infinito tra sconosciuti che si fanno beffe di loro, col
risultato – nella migliore delle ipotesi – di sentirsi talmente umiliate da chiudersi
in casa e rifiutare qualunque contatto col mondo esterno, com’è di recente
successo ad una ragazzina di soli sedici anni.
Cyberbullismo, bodyshaming: gli estremi di tali specifiche e perseguibili
condotte ci sono senz’altro; ma l’efficacia del rimedio giuridico può essere
tardiva ove frattanto si siano innescati altri meccanismi meno contenibili e ben
più devastanti. La salute fisica e mentale delle vittime è difatti il fattore
maggiormente compromesso, giacché sono proprio queste azioni a ricacciarle
nel tunnel della depressione e dei disturbi alimentari, con conseguenze che
possono anche essere estreme.
Mi domando allora dove finisca la capacità (e la responsabilità) degli adulti –
genitori, insegnanti, altre figure di riferimento – di educare i giovani ad un uso
corretto e consapevole dei (pericolosissimi) dispositivi che maneggiano, e
dove invece inizi (se c’è) l’impegno reale di questi ultimi nell’utilizzarli
coscienziosamente e nel rispetto degli altri, piuttosto che nel volerli
trasformare in strumenti per ottenere consensi effimeri ed inedificanti.
Finché non sarà consolidata – a monte – l’educazione “reale”, quella centrata
cioè su regole di comportamento valide da sempre e spendibili in ogni
contesto, non cedendo al pregiudizio che siano ormai troppo “classiche” per
una società accelerata e mutevole, qualsiasi “altra” forma di educazione
dettata dalle modernità sarà destinata a naufragare, abbandonando le nuove
generazioni ad un deriva comportamentale che rischierà di invalidare
qualunque altra competenza abbiano raggiunto in altri ambiti.
fonte: FISCAALFOCUS

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