ANALISI E COMMENTI – Governare l’immigrazione, non solo contrastarla

Governare l’immigrazione, non solo
contrastarla: analisi e proposte


Un documento in due parti: “Per una immigrazione ordinata, regolare e
sicura “ analizza il fenomeno nella sua complessità, mentre la seconda
parte propone una revisione del memorandum di intesa Italia – Libia.
di Nino Sergi_ presidente emerito di Intersos e Policy advisor della
rete Link 2007


Prima parte
PER UNA MIGRAZIONE ORDINATA, REGOLARE E SICURA


La narrazione politica sull’immigrazione si è basata spesso, negli anni, su
elementi propagandistici e in parte strumentali, con visioni emergenziali che
non hanno permesso di dare le giuste risposte che la complessità della
materia richiede. Più di recente l’attenzione è stata concentrata sui salvataggi
delle Ong in mare che rappresentano il 12% degli sbarchi, quasi volendo
ignorare gli arrivi con natanti autonomi che superano il 50%, i restanti soccorsi
effettuati da Frontex, Guardia costiera, Guardia di finanza, navi mercantili (dati
del Ministero dell’Interno) e gli altri ingressi dalla rotta balcanica. Osservando
il diritto internazionale e fedeli all’imperativo umanitario, le Ong hanno salvato
ogni anno alcune migliaia di vite umane a rischio di morte. Più di 20.000 sono
state le persone annegate dal 2014 al 2022 nel tratto di mare tra Libia e Italia:
le Ong vogliono non aggiungerne altre, come fanno ovunque nel mondo e
spesso anche in Italia, obbedendo all’imperativo umanitario. Non intendono
proprio sostituirsi ai governi ma continueranno a farlo finché ci saranno
persone con la vita in pericolo che chiedono aiuto.
Affrontare la realtà migratoria concentrando l’attenzione ai soli arrivi via mare
ed ai trasferimenti per suddividere con altri paesi europei i richiedenti
protezione internazionale (trasferimenti che vanno certamente effettuati in
forza degli accordi condivisi nel giugno 2022 da 19 Stati membri e da 4
associati all’Ue) significa non affrontare la materia nella sua complessità, che
richiede la definizione di una normativa complessiva e coerente, che esca
dalla paura dell’invasione, che non c’è e che impedisce ogni avanzamento
nella definizione di politiche al tempo stesso umane e utili all’Italia e
all’Europa. Da anni si ripete nelle aule parlamentari che la politica migratoria
deve essere concordata con tutti i Paesi, che serve un patto europeo e
un’iniziativa Ue più risoluta, che occorre rivedere gli accordi di Dublino sui
rifugiati, che servono intese con i paesi di provenienza e che il problema dei
migranti va affrontato innanzitutto in Africa.
È mancata però, a livello governativo, la definizione di una proposta che
superi le sole misure di sicurezza che non hanno apportato vere soluzioni;
capace di affrontare la materia nella sua interezza, 2 coordinandola con la
dimensione europea. Se fosse attuato per esempio il criterio dei ricollocamenti
in base alla quantità della popolazione, vari paesi europei che hanno numeri
di richiedenti protezione internazionale proporzionalmente superiori ai nostri
potrebbero riversarne decine di migliaia sull’Italia. Le richieste di asilo in
rapporto a 1000 abitanti sono infatti state nel 2021: Svezia 27, Malta 17,
Austria 13, Germania 12, Cipro 8, Francia 5, Italia 3. Mentre i titolari di
protezione già in carico erano: Germania 1,2 milioni, Francia 499 mila, Svezia
299 mila, Italia 145 mila. È quindi evidente che la complessità del tema
richiede un ben diverso approccio, maggiore coerenza e il superamento di
tante contraddizioni.
È importante evidenziare alcune delle contraddizioni politiche che
impediscono di governare l’immigrazione. Sottolineare la necessità di un
governo politico della migrazione è doveroso perché appare ormai evidente
che fermarsi al contrasto non porterà ad alcuno dei risultati attesi, dato il
progressivo aumento dei movimenti a causa dei conflitti, la povertà, il clima, le
persecuzioni, la demografia ma anche la facilità degli spostamenti e l’umana
indelebile spinta a migliorare le proprie condizioni di vita.
■ “Si entra in Italia solo nel rispetto delle leggi dello Stato” è un’evidenza
che ci sembra in contrasto con una politica sorda alla promozione degli
ingressi legali e con una normativa che rende molto difficile ogni
ingresso che sia al di fuori delle quote annuali prefissate, pur sapendo
che non corrispondono più ai reali bisogni dell’Italia che soffre di una
grave penuria di lavoratori in ogni settore ed alle attuali dinamiche
internazionali.
■ Anche la riforma degli accordi di Dublino sull’accoglienza dei richiedenti
protezione internazionale e asilo è stata una richiesta italiana ma, dopo
averli comunque approvati, i successivi governi non hanno prestato la
dovuta attenzione (perfino con assenze nelle sedi decisionali) alle
proposte di modifica presentate dalla Commissione europea.
■ Nelle aule parlamentari per anni si è ripetuto che occorre “aiutarli a casa
loro”, auspicando programmi europei da decine di miliardi e ampi
investimenti in Africa, mentre gli stanziamenti italiani per la
cooperazione internazionale allo sviluppo sono da anni fermi e molto
lontani dall’impegno assunto dello 0,7% del Rnl, ribadito solennemente
per tre decenni e mai attuato. Eppure è ora di avere consapevolezza
dell’importanza di definire insieme, Ue e Stati membri, quale deve
essere in nostro rapporto con l’Africa e con quale ampiezza dovrà
svilupparsi, per ragioni di vicinanza, di solidarietà, di relazioni politiche
ed economiche, di demografia, di sicurezza, di stabilità che renderanno
i due continenti sempre più interconnessi.
■ Si sono promossi giustamente accordi di riammissione con i governi da
cui provengono i maggiori flussi irregolari ma sono stati ridotti ad intese
bilaterali di polizia, perlopiù riservate, senza collegamento con impegni
pluriennali di sviluppo sostenibile sottoscritti dai relativi Ministri degli
Esteri, anche in un quadro di relazioni e di cooperazione europee.
■ Se da un lato si è proclamato che la politica migratoria deve essere
concordata tra tutti i paesi, dall’altro l’Italia ha rifiutato l’accoglimento del
Patto globale dell’Onu sulle migrazioni e non viene presa in
considerazione la necessità di delegare all’Ue più ampie competenze in
materia migratoria, rispetto all’attuale quasi esclusiva competenza
nazionale, che permettano la reale fattibilità di soluzioni europee.
■ Stiamo assistendo da anni ad un inesorabile declino demografico ma
non sono state ripensate le politiche dell’immigrazione dato che l’Italia
ha impellente bisogno di nuova forza lavoro, come ripetono le nostre
imprese, e non sono messe in atto imponenti politiche per favorire la
natalità moltiplicando i servizi all’infanzia, incentivando e sostenendo le
madri e le famiglie, anche con sgravi fiscali.
■ In linea con l’intenzione di risvegliare il senso della patria occorrerebbe
accelerare l’acquisizione della cittadinanza italiana per le nuove
generazioni discendenti da immigrati, che rimangono a lungo con
un’identità sospesa, pur sentendosi, molte e molti di loro, pienamente
italiani, frequentando le stesse scuole e gli stessi luoghi dei coetanei
compaesani, parlando spesso lo stesso dialetto e contribuendo al
benessere comune.
■ Mentre il Sistema di accoglienza e integrazione SAI, gestito dagli Enti
locali e dal ministero dell’Interno, funziona in sinergia tra
Amministrazioni ed Enti del terzo settore ai fini dell’integrazione dei
richiedenti e titolari di protezione internazionale, dei minori stranieri non
accompagnati, degli stranieri affidati ai servizi sociali e di altre categorie
speciali, poco è stato fatto per la piena e rispettosa integrazione degli
immigrati e contro le forme di sfruttamento lavorativo; al punto che i
migliori continuano a lasciare l’Italia regalando ad altri paesi europei la
formazione e le capacità qui acquisite, al pari di tanti giovani italiani che
preferiscono beneficiare delle migliori opportunità offerte da altri Paesi.
È indubbio che ci sia la necessità di rivedere la legislazione italiana, che
appare alquanto chiusa e incoerente, tanto da “incentivare” l’immigrazione
illegale. Serviranno norme che definiscano gli ingressi sulla base di indicatori
socio-economici, delle necessità, delle opportunità culturali, scientifiche,
professionali, delle intese bilaterali e degli accordi con gli Stati Ue, insieme
all’inalienabile dovere di garantire la protezione internazionale. Ma sarà
necessario ripensare la normativa non solo con l’indispensabile precisione e
completezza per potere essere applicata ma anche con l’apertura, la capacità
di cogliere il cambiamento e la visione lungimirante che hanno garantito
vitalità, progresso al benessere italiano e di tante altre regioni nel mondo. È
altresì indubbio che l’Italia non possa accogliere tutti, anche se l’affermazione
perde peso di fronte alla realtà delle percentuali rispetto alla popolazione
residente di immigrati e di titolari di protezione accolti in ogni continente e in
altri paesi europei, grandi e piccoli, come già sottolineato.
Gli Organi istituzionali si sono, però, troppo a lungo fermati a generiche
affermazioni e slogan e a provvedimenti tampone, mentre avrebbero il dovere
di dotarsi di visioni e strategie politiche e di normative adeguate e coordinate
con gli altri Stati Ue per il governo di una migrazione ordinata, regolare e
sicura. La migrazione è da tempo un fatto strutturale e deve essere affrontata
come tale e non con ripetitivi ed inefficaci provvedimenti di emergenza. Anche
perché la materia rischia di destabilizzare, incrementando tensioni sociali e
politiche.
Sul tema molto è stato proposto da organizzazioni ed enti del terzo settore e
da centri studi specializzati, frutto di analisi, approfondimenti, conoscenze
dirette. L’hanno normalmente fatto dialogando con le istituzioni nazionali e
territoriali, non sempre trovando attenzione. Anche sul reiterato “codice di
condotta” per le Ong in mare, non ci sono mai state opposizioni preconcette.
L’operato di una Ong umanitaria si basa da sempre su codici di condotta che il
mondo umanitario, privato e pubblico, si è dato a livello globale. Ciò che è
difficile accettare è che tali codici vengano imposti trasformandoli in semplici
normative ingiuntive, senza una preliminare concertazione che garantisca il
rispetto dei principi umanitari universalmente riconosciuti, a partire dall’Ue e
dall’Onu. La Commissione parlamentare di inchiesta e le indagini giudiziarie
del 2017 si sono dimostrate forzature, ben lontane dal dimostrare le presunte
scorrettezze dell’operato delle Ong. Il Governo e il Parlamento potrebbero
trovare grande beneficio dal dialogo con le organizzazioni specializzate della
società civile e dall’ascolto, piuttosto che dallo scontro, per la definizione di
una rinnovata politica e una qualificata normativa sull’immigrazione.
L’Africa ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno dell’Africa
È utile aggiungere alcuni elementi di analisi e proposta sul nesso tra
migrazioni e sviluppo e sulle opportunità da cogliere e sviluppare nel rapporto
con il continente africano a cui siamo collegati dal Mediterraneo. I motivi
dell’emigrazione (quella non forzata da eventi disastrosi) sono normalmente
legati alla mancanza di fiducia, di prospettive e speranza nel futuro del proprio
paese. Ad ognuno dovrebbe essere garantito il diritto di non emigrare,
trovando le condizioni indispensabili per poterlo esercitare. Tra tutte, la prima
è quella del lavoro dignitoso e continuativo, fonte di dignità, come papa
Francesco ci ricorda spesso. Alla dimensione fondamentale della solidarietà
occorre quindi affiancare e rafforzare gli investimenti pubblici e quelli del
settore privato, l’iniziativa imprenditoriale capace di creare lavoro e di
conciliare il profitto con gli obiettivi sociali, ambientali e di progresso delle
comunità. Lo sfruttamento delle risorse senza produrre sviluppo umano
duraturo e sostenibile non è più ammissibile, non solo eticamente ma perché
distorce l’economia, produce corruzione, ostacola i processi democratici,
danneggia spesso l’ambiente, favorisce i conflitti e le oppressioni.
Nel 2050 l’Africa subsahariana raddoppierà la popolazione a circa 2,3 miliardi,
con un probabile bacino di 750 milioni di persone in età lavorativa (mentre
l’Italia diminuirà di 15 milioni). Servono quindi nuove opportunità di lavoro in
modo diffuso nel continente. La crescita demografica produrrà inoltre un
incremento della domanda di servizi pubblici e di investimenti in istruzione,
formazione professionale, filiere industriali, agricole, commerciali,
infrastrutture, logistica, trasporti e più in generale progresso sociale e umano.
Il cambiamento climatico muterà il rapporto delle persone con la terra, la cui
coltivazione richiederà approcci e tecnologie innovative. Sono tutti settori nei
quali lo spirito di impresa e la capacità tecnologica italiana possono fornire
molte utili risposte, in particolare collegandosi all’azione dei soggetti non profit
che sono da anni grandi conoscitori di quelle realtà grazie ai legami e ai
partenariati costruiti mettendo al centro la persona umana e la comunità.
Ogni investimento nella cooperazione internazionale è per l’Italia
un’opportunità per la sua crescita nel progresso e lo sviluppo sostenibile.
Questa cooperazione è spesso richiesta: perché il made in Italy è ritenuto di
alta qualità; perché alcuni di coloro che hanno studiato in Italia sono oggi nei
propri paesi ai più alti livelli governativi, imprenditori, docenti, promotori di
benessere comunitario; perché gli immigrati che hanno avuto successo nelle
nostre regioni hanno saputo costruire utili ponti transnazionali di dialogo e di
rapporti economici; perché l’Italia ha saputo mantenere buone relazioni
diplomatiche e politiche. Leader africani conoscono anche il made in Italy
formato solidarietà, avendo sperimentato negli anni la serietà e la resilienza
delle Ong Italiane radicate nei territori con successi importanti nella salute,
l’agricoltura, l’educazione, le realtà produttive, la governance, l’aiuto
umanitario. L’Africa ha bisogno dell’Europa ma anche l’Europa ha bisogno
dell’Africa. Il presidente Mattarella ha parlato giustamente della necessità di
una politica lungimirante verso l’Africa, essendo per l’Europa e per l’Italia il più
vicino continente con cui stabilire stretti rapporti di e di cooperazione. Per
essere efficace e sostenibile nel tempo e nelle modalità attuative, tale
cooperazione dovrà essere basta su una stretta concertazione e una
coordinata azione europea frutto di un permanete partenariato euro-africano
che ne definisca le priorità, i vincoli, i reciproci interessi, l’ownership locale e i
rispettivi ruoli.
Questo partenariato ha bisogno di risorse. Il debito pubblico di molti Paesi
africani soffoca qualsiasi idea di titolarità locale e di sostenibilità basata sulle
poche risorse disponibili. LINK 2007 ha lanciato allo scorso G20 a presidenza
italiana una proposta apripista chiamata Release G20 che va nella direzione
di liberare risorse, a partire dal debito, per investimenti atti a creare posti di
lavoro dignitosi e sostenibili. Su questa proposta e su tutto quanto sopra LINK
2007 continuerà a dialogare con le Istituzioni italiane ed europee insieme agli
altri attori della società civile e ai soggetti interessati alla cooperazione allo
sviluppo.
Seconda parte
MEMORANDUM DI INTESA ITALIA-LIBIA
Venendo ora agli arrivi via mare dal Nordafrica ed al Memorandum di intesa
con la Libia, è bene evidenziare che le partenze sono organizzate non solo
lungo le coste libiche della Tripolitania ma anche della Cirenaica e nelle aree
interne (oltre che in Tunisia e in Egitto). L’Italia non è riuscita – come d’altronde
la stessa Europa – a stabilire rapporti positivi con le due principali parti libiche
in conflitto, come avrebbe dovuto e potuto fare con una politica lungimirante,
risoluta e perseverante. Si è limitata a soddisfare le proprie ansie politiche sul
contenimento e il controllo dell’immigrazione dalle coste libiche occidentali,
firmando in merito un accordo che si rinnova tacitamente ogni triennio e di cui
non sono ancora chiari i contenuti dei decreti attuativi.
I dissensi e le manifestazioni contro il rinnovo senza modifiche del
Memorandum di intesa tra l’Italia e la Libia sono più che giustificati. Firmato il
2 febbraio 2017 con validità triennale è già stato rinnovato nel 2020 e lo sarà a
febbraio 2023. A quanto si sa, l’Italia non ha presentato alcuna richiesta di
revisione secondo i termini stabiliti all’articolo 8 (“ha validità triennale e sarà
tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente, salvo notifica
per iscritto di una delle due Parti 5 contraenti, almeno tre mesi prima della
scadenza del periodo di validità”). Il nostro governo può comunque farlo in
ogni momento, ai sensi dell’articolo 7 che stabilisce più generalmente che “Il
presente Memorandum può essere modificato a richiesta di una delle Parti,
con uno scambio di note, durante il periodo della sua validità”.
Perché è indispensabile oltre che doveroso che il governo italiano modifichi il
Memorandum senza esitazioni e ritardi? Innanzitutto per ragioni di coerenza,
dignità e rispettabilità, non potendo l’Italia tradire la propria cultura dei diritti
umani e dei principi e valori fondamentali della persona contenuti nei trattati
internazionali, considerata anche l’esigenza vitale per l’Italia di far parte di
quella comunità di Stati che basano le proprie Costituzioni sul rispetto della
dignità di ogni essere umano, attuandone coerentemente i principi.
Nelle tre pagine del testo, le parole ‘diritti umani’ compaiono una sola volta,
all’articolo 5, indicando negli “obblighi internazionali sottoscritti dalle parti lo
strumento per interpretare e applicare” il Memorandum su tali diritti. In tutta
evidenza tale interpretazione e applicazione non è mai avvenuta. La
situazione di molte persone immigrate il Libia, con la disumana realtà dei
centri di detenzione definiti unanimemente lager, gli abusi, gli stupri, le torture,
lo stato di schiavitù, i ricatti, le oscure operazioni degli uomini della Guardia di
frontiera e costiera e dell’Interno, spesso legati a milizie tribali implicate nei
traffici di essere umani oltre che del petrolio, le omissioni di soccorso, le
ripetute reclusioni arbitrarie, sono realtà ben conosciute e documentate anche
da organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite. È quindi evidente a tutti
che il testo non possa più essere tacitamente rinnovato, come se questa
orribile serie di crimini non esistessero. Tanto più ora, dopo l’annuncio della
Corte penale internazionale (Cpi) al Consiglio di Sicurezza di avere emesso
numerosi mandati per crimini di guerra, crimini contro i diritti umani e crimini
contro i migranti commessi in Libia.
Serve un segnale di cambiamento
Contiamo che l’attuale governo non continui sulla strada che tende a delegare
ad entità libiche questioni che dovrebbe saper assumere e affrontare con
intelligenza, visione, umanità, fedeltà ai principi della Carta costituzionale e
dei trattati internazionali. Un Memorandum bilaterale che metta al primo posto
tali principi faciliterebbe il pieno supporto dell’Unione europea e degli Stati
membri e in parte potrebbe giustificare corrispondenti misure di ‘maggiore
fermezza’, come si usa dire.
L’articolo 5 può e deve essere applicato: “Le Parti si impegnano ad
interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi
internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte”.
Anche la Libia ha ratificato Convenzioni e Trattati internazionali sui diritti
umani, che non sono mai stati revocati e che impegnano tuttora i governi libici.
Si tratta di impegni internazionali che sono stati quasi dimenticati sia dai libici
che dalla comunità internazionale. È bene ricordarli affinché diventino lo
strumento chiave per la definizione e l’applicazione degli accordi multilaterali e
in particolare del Memorandum bilaterale di intesa. Se il governo italiano
considera la controparte libica credibile nel rappresentare lo Stato o una sua
parte per quanto riguarda gli impegni che dovrà assumere in forza del
Memorandum, la stessa credibilità dovrà valere nell’esigere l’adempimento
degli impegni internazionalmente assunti. Le principali ratifiche riguardano: La
Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, la Convenzione UA regolante
gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, la Carta africana sui diritti
e il benessere del minore, il Protocollo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e
dei popoli sui diritti delle donne in Africa, la Convenzione sui diritti delle
persone con disabilità, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata transnazionale, il Protocollo addizionale della Convenzione delle
Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire,
reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, il
Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via
terra, via mare e via aria, la Convenzione di Ginevra sulla protezione delle
persone civili in tempo di guerra. A cui si possono aggiungere almeno altre 25
ratifiche o adesioni a Trattati e Convenzioni inerenti ai diritti umani.
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dato segnali di disponibilità al
confronto quando ha affermato ”Non intendiamo fare da soli, ascolteremo i
corpi intermedi, chi le materie le vive ogni giorno”. Ascolti quindi per favore chi
da anni è a contatto con le fragilità nel mondo e vive e segue anche queste
disumane e insopportabili situazioni. Auspichiamo la stessa apertura
all’ascolto delle Ong e organizzazioni della società civile da parte del ministro
dell’Interno Matteo Piantedosi e, come è sempre stato con i soggetti della
cooperazione internazionale allo sviluppo, da parte del ministro degli Esteri e
della cooperazione internazionale Antonio Tajani. Il Memorandum dovrebbe
essere annullato o radicalmente modificato. Qualora ciò non avvenisse, una
proposta che rappresenterebbe un primo indispensabile passo per ridare
dignità all’Italia è un primo “scambio di note durante il periodo della sua
validità” ai sensi dell’articolo 7. La più urgente di queste note dovrebbe
riguardare “i campi e i centri di detenzione temporanea” e il “supporto tecnico
e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro la tratta degli
esseri umani e l’immigrazione clandestina e del controllo dei confini”.
Contiamo che il Governo italiano invii alla parte libica la nota, senza ulteriori
ritardi, almeno su questi due punti del Memorandum, di seguito esplicitate.
Campi e centri di detenzione temporanea, formazione del personale,
programmi di sviluppo (articolo 2)
È necessario definire che:
■ I centri di detenzione governativi sostenuti dall’Italia e dall’Europa siano
gestiti sulla base dello Stato di diritto e del giusto processo, premendo
perché l’immigrazione irregolare non sia più considerata reato
penalmente perseguibile con anni di reclusione insieme ad afflizione di
pene disumane;
■ gli impegni derivanti dal Memorandum e da altri accordi europei
contribuiscano all’umanizzazione dei centri detentivi governativi
migliorandone ulteriormente le condizioni di vita, con riferimento
particolare a donne e bambini che non devono rimanere reclusi; per
giungere quanto prima alla loro sostituzione con strutture più consone
alla dignità umana ed alla tutela dei più vulnerabili;
■ sia facilitata: a) l’organizzazione di programmi con l’Oim e altre
organizzazioni con essa coordinate per il ritorno assistito di coloro che
chiedono di essere aiutati a ritornare nei propri paesi; b) la valutazione
delle richieste di protezione internazionale attraverso l’Unhcr, ripartendo
le persone selezionate nei paesi disponibili in Africa e negli altri
continenti, compresa l’Europa; c) la libera scelta del migrante di
rimanere regolarmente in Libia per lavoro o di procedere
autonomamente per altre mete autorizzate;
■ la predisposizione dei centri governativi, la formazione del personale
libico, la fornitura di medicinali ed altri beni di prima necessità,
avvengano con la possibilità di accesso e di azione delle organizzazioni
internazionali che operano in Libia nel campo delle migrazioni (articolo
2, comma 5), ed in particolare Unhcr, Oim, Federazione internazionale
di Croce rossa e Mezzaluna rossa ed organizzazioni non governative
con esse collegate;
■ tali organizzazioni internazionali presentino in merito valutazioni mensili
al comitato misto di cui all’articolo 3 (che recita: “…le parti si impegnano
a istituire un comitato misto … per individuare le priorità d’azione,
identificare strumenti di finanziamento, attuazione e monitoraggio degli
impegni assunti”), rendendole pubbliche;
■ siano soppressi e perseguiti con determinazione i centri di detenzione
non ufficiali finalizzati al traffico e allo sfruttamento dei migranti attuato
con metodi disumani e abusi di ogni sorta;
■ siano soppresse le riconsegne di migranti allo Stato libico se non
strettamente sotto la tutela e protezione delle organizzazioni
internazionali sopra elencate, in coerenza con la sentenza della VI
Sezione penale della Corte di Cassazione del 16 dicembre 2021 che
stabilisce che è scriminata la condotta di resistenza a pubblico ufficiale
da parte del migrante che, soccorso in alto mare e facendo valere il
diritto al non respingimento verso un luogo non sicuro, si opponga alla
riconsegna allo Stato libico.
Supporto tecnico e tecnologico alla guardia di frontiera e costiera del
Ministero della Difesa e agli organi del Ministero dell’Interno incaricati
della lotta contro l’immigrazione clandestina
(articolo 1, comma c)
Date le varie decine di milioni di euro erogati dall’Italia, riteniamo necessario
che sia concordato che:
il supporto italiano

  • sia affiancato da ulteriore formazione al personale addetto e
    accompagnamento operativo;
  • sia monitorato e valutato mensilmente dal comitato misto;
    nei punti di sbarco
  • sia ammessa e rafforzata la presenza delle organizzazioni umanitarie
    internazionali che operano in Libia nel campo delle migrazioni al fine della
    garanzia del rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, oltre che
    dell’assistenza umanitaria e sanitaria, per le persone che saranno ivi
    rimpatriate;
    -sia garantita tale presenza anche nei centri governativi di detenzione ove
    saranno condotti.
    Se l’obiettivo del governo italiano è quello di combattere i trafficanti di essere
    umani, come da tutti ripetutamente dichiarato e come tutti vogliamo, allora non
    è punendo le vittime della tratta che tale obiettivo può essere conseguito ma
    togliendoli dalle mani dei trafficanti e dei funzionari istituzionali conniventi. È
    intollerabile che si continui a colpire le persone salvate dal mare e dall’incubo
    libico senza mai intervenire decisamente per toglierli dalle mani di chi
    organizza e sostiene i traffici di esseri umani, considerati merce da sfruttare,
    con la coercizione, la violenza e i relativi abusi e soprusi.
    Non si può d’altro canto sostenere che i centri di detenzione e gli abusi in
    Libia non siano un nostro problema: è un’affermazione che nessun cittadino
    europeo e soprattutto nessun decisore politico dell’Unione e degli Stati
    membri potrebbe mai fare propria. Nella definizione degli accordi con la Libia –
    sia italiani, che europei e internazionali – andrebbe quindi verificata, nel
    dialogo politico, anche la possibilità che venga abolita la legge 19 del 2010
    della Jamahiriya libica sul contrasto all’immigrazione illegale che viene
    applicata per punire crudelmente e lungamente i migranti in entrata e in uscita
    ma non i trafficanti. Lo Stato di diritto e la difesa della dignità e dei diritti
    fondamentali della persona sono tra i principi alla base delle nostre
    democrazie e della nostra civiltà. Ignorarli significherebbe un ritorno a ciò che
    consideriamo barbarie.
    LA MIGRAZIONE PUO’ ESSERE GOVERNATA USCENDO
    DALL’APPROCCIO EMERGENZIALE
    Il Memorandum di intesa, anche con le ulteriori doverose modifiche che
    dovranno essere apportate oltre a quanto qui proposto, non contribuirà
    comunque al governo dell’immigrazione. Servirà, quanto prima, un lavoro del
    Governo e del Parlamento per uscire dall’approccio emergenziale e
    meramente securitario e modificare la normativa del 2002 che in vent’anni ha
    dimostrato di non essere adeguata né a governare l’immigrazione, né
    all’interesse dell’Italia, né al suo ruolo di Paese fondatore dell’Unione europea.
    Le proposte ci sono, così come le linee di indirizzo internazionali.

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