ANALISI E COMMENTI – EXPORT – RUSSIA E CINA: INIZIA LA ‘NUOVA ERA

RUSSIA E CINA: INIZIA LA ‘NUOVA ERA


Conclusa la visita di Xi Jinping a Mosca: “Inizia la nuova era”. Russia e Cina
sempre più in asse contro la cosiddetta “egemonia occidentale”.
Il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo russo Vladimir Putin hanno
firmato un accordo di cooperazione che proietta i legami tra Cina e Russia in
una “nuova era”: al termine della visita di tre giorni a Mosca i due leader
hanno annunciato un approfondimento del partenariato strategico in una
dichiarazione congiunta e 14 accordi. Le due potenze vogliono espandere i
collegamenti stradali e ferroviari, e Putin ha garantito che la Russia è “pronta
a soddisfare la crescente domanda di energia” della Cina assicurando che
sono stati concordati “praticamente tutti i parametri” di un secondo gasdotto
che trasporterà gas dalla Siberia alla Cina. Il volume di scambi tra i due paesi,
che ha già raggiunto cifre record lo scorso anno, dovrebbe salire nei prossimi
mesi fino a 200 miliardi di dollari. Incurante del mandato di arresto
internazionale che pende sul capo del suo ospite, Xi ha invitato Putin a
Pechino, per una visita che si terrà forse entro l’anno. Negli incontri bilaterali
tra i due leader, la guerra in Ucraina è rimasta sullo sfondo e a parte la
richiesta congiunta di un “dialogo responsabile”, il vertice non ha portato
nessuna novità sostanziale. Ma la sola presenza di Xi nella capitale russa per
la prima volta dall’invasione dell’Ucraina ha mostrato che la relazione tra Cina
e Russia è sempre più solida, anche se sempre meno alla pari. “Le sanzioni
hanno esacerbato il rapporto già asimmetrico tra Russia e Cina – osserva
Maria Shagina, dell’International Institute for Strategic Studies – è difficile
nascondere il fatto che la Russia sia ora un partner minore”
Putin partner minore?
“Una Cina forte sostiene una Russia debole”: così David Ignatius riassume
sulle colonne del Washington Post il senso della visita di Xi a Mosca,
mentre il portavoce della Casa Bianca John Kirby ha definito Putin un “partner
minore” di Pechino. Una conseguenza paradossale della guerra in Ucraina,
considerato il fatto che il leader del Cremlino l’aveva scatenata per ottenere
un maggiore potere in Europa e che invece proprio il conflitto rischia di
sancirne la debolezza. La Russia ha perso i suoi mercati energetici in Europa
a causa delle sanzioni innescate dal conflitto e non ha altra scelta se non
vendere petrolio e gas a prezzi ribassati alla Cina e ad altri clienti asiatici.
Pechino non ha tentennato quando si è trattato di approfittarne e oggi è in
assoluto il principale importatore degli idrocarburi russi: Mosca ha promesso
entro il 2030 di fornire all’alleato almeno 98 miliardi di metri cubi di gas e 100
milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (Lng) all’anno, impegnandosi
anche a favorire l’uso della valuta cinese, lo yuan, nei pagamenti in Asia,
Africa e Sud America. “Il dominio della Cina sulla Russia è completo –
sostiene Sam Greene, del Center for European Policy Analysis, in un thread
su Twitter – Putin dice al suo popolo che sta combattendo per la sovranità
della Russia. In verità, ha ipotecato il Cremlino a Pechino”
L’arrivo di una Global China?
Ma c’è di più della partnership e di un’amicizia “senza limiti” seppur sbilanciata
tra i due paesi. Cina e Russia “stanno costruendo un mondo multipolare”, ha
ribadito Xi, rivolgendo all’Occidente accuse di “minare” la sicurezza
internazionale mentre Pechino guadagna punti e rispetto agli occhi dei partner
nei paesi in via di sviluppo dicendo di voler ampliare il club dei ‘Brics’ e
parlando di “benessere condiviso”. Non a caso, proprio da Mosca il leader
cinese ha invitato a maggio a Pechino i capi delle ex Repubbliche sovietiche
centroasiatiche per il primo vertice “Cina-Asia centrale”. In Cina Xi ha
invitato anche Putin per partecipare al terzo forum sulla Via della Seta che
vuole organizzare entro l’anno. In un’intervista con l’analista geopolitico Bruno
Maçães, Zhou Bo, colonnello in pensione dell’Esercito popolare di liberazione
e membro anziano del Centro per la sicurezza e la strategia internazionale
dell’Università Tsinghua di Pechino, ha offerto una nuova espressione per
inquadrare il momento. “Stiamo parlando di una Cina globale”, ha detto
Zhou. “Quando [l’ex primo ministro britannico] Boris Johnson parlava di Global
Britain, probabilmente era più retorico. Ma la Cina globale è decisamente
reale. La Cina è onnipresente. E la sua influenza è ovunque”.
Doppia sfida a Washington?
Il sodalizio tra Xi e Putin si basa su una priorità comune della politica estera
di entrambi: screditare e smantellare un ordine mondiale che credono
costruito sull’ipocrisia occidentale e che nega loro il dovuto rispetto come
grandi potenze globali. Un risentimento che cova nella mente di Putin sin da
quando è crollata l’Unione Sovietica, e che spinge la Cina a rimodellare il
sistema internazionale. E se il modello di capitalismo autoritario incarnato
da Pechino potrebbe rivelarsi attraente per alcuni paesi del mondo, in altri
come ad esempio il Sudafrica, è l’antipatia per le politiche statunitensi a
creare terreno fertile. Non stupisce che, con queste premesse, il bilancio tratto
da Washington sul vertice di Mosca sia negativo. Quello andato in scena
nella capitale russa è “un matrimonio di convenienza”, ha detto John Kirby,
per cui l’obiettivo comune di Russia e Cina non è la pace ma respingere
l’influenza degli Usa nel mondo”. “Vorrebbero cambiare le regole del gioco –
ha detto Kirby – e l’uno nell’altro vedono un utile vantaggio”. Intanto, a Kiev il
presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto di aver invitato la Cina al
dialogo e di aspettare una risposta. “Abbiamo offerto alla Cina di diventare
un partner nell’attuazione della formula di pace. Abbiamo trasmesso la nostra
formula su tutti i canali. Vi invitiamo al dialogo. Aspettiamo la vostra
risposta”, ha detto Zelensky in una conferenza stampa, aggiungendo di
“ricevere segnali, ma finora niente di concreto”.
IL COMMENTO
di Filippo Fasulo, Co-Head Osservatorio Geoeconomia ISPI
“Cina e Russia cementano il loro rapporto e Xi e Putin dimostrano di essere
amici con pochi limiti. Da questa visita il legame tra i due paesi si fa più solido,
anche perché la Russia non ha alternative, e la sfida all’ordine internazionale
guidato dagli Stati Uniti si fa più esplicita. I due leader si sono parlati tra di
loro, ma hanno anche parlato al ‘Global South’ che verrà presto corteggiato
per espandere organi multilaterali (nella loro visione, in opposizione
all’unilateralismo americano) come i Brics e la Sco. Tuttavia, il rapporto
appare sempre più sbilanciato in favore di Pechino”.
STATI UNITI: THE LOOMING INDICTMENT
Una New York blindata attende nelle prossime ore l’incriminazione di Donald
Trump. Un atto le cui conseguenze si allungherebbero fino alle presidenziali
del 2024.
È una calma tesa quella che si respira a New York in attesa della notizia che
da giorni è sulla bocca di tutti. La procura di Manhattan starebbe per
incriminare Donald Trump in relazione al caso ‘Stormy Daniels’, l’attrice
porno alla quale l’ex presidente avrebbe accordato un pagamento di 130mila
dollari prima delle elezioni presidenziali del 2016 in cambio del suo silenzio
su una loro precedente relazione. Se fosse confermato, il tycoon diventerebbe
il primo ex presidente americano ad essere incriminato in un procedimento
penale. Ad annunciarlo lo scorso fine settimana su Truth, cioè il ‘suo’ social
network, era stato proprio l’ex presidente, esortando i suoi sostenitori a
“protestare” e a “riprendersi la nazione”. Frasi che hanno rievocato quanto
accaduto il 6 gennaio del 2021, quando l’ex inquilino della Casa Bianca
arringò la folla ad assaltare la sede del Congresso che si apprestava a sancire
la vittoria elettorale di Joe Biden. Anche se al momento nessuna fonte
ufficiale ha confermato la notizia, l’incriminazione sembrerebbe imminente,
a giudicare dai transennamenti e dalle misure di rafforzamento della pubblica
sicurezza messe in campo dalla polizia di New York. Il magnate americano,
intanto, attende nella sua villa di Mar-a-lago in Florida. E ha promesso di
continuare in ogni caso la campagna per una nuova candidatura repubblicana
per le elezioni del 2024, anche in caso di rinvio a giudizio.
Altri guai per Trump?
I problemi giudiziari per l’ex presidente potrebbero non limitarsi alla procura di
New York. Anche i giudici di Atlanta, in Georgia, infatti, starebbero valutando
di contestare a Trump i reati di estorsione e cospirazione nell’inchiesta sul
tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020 nello stato che
si rivelò decisivo per la vittoria di Joe Biden. Gli investigatori avrebbero
raccolto una gran quantità di prove fra cui registrazioni di telefonate, email,
documenti e varie testimonianze che dimostrerebbero che il sostegno al
piano di Trump non sarebbe arrivato soltanto da un movimento dal basso
originato all’interno dello stato. L’inchiesta era stata aperta dal procuratore
distrettuale della contea di Fulton, Fani Willis, all’inizio del 2021, dopo la
celebre telefonata in cui Trump faceva pressioni sul segretario di stato della
Georgia Brad Raffensperger — un funzionario repubblicano — chiedendogli di
“trovare i voti” che gli permettessero di vincere. L’ex presidente sta però
cercando di bloccare il procedimento e ha chiesto a un giudice di annullare il
rapporto del grand jury di Atlanta e di impedire che qualsiasi prova raccolta
dall’organo giudiziario venga utilizzata per perseguire lui e i suoi alleati.
Repubblicani indecisi?
L’annuncio dell’incriminazione di Trump ha gettato scompiglio nel partito
repubblicano. Con le barricate erette fuori dal tribunale distrettuale di
Manhattan, esponenti di spicco del Grand Old Party (GOP, com’è altrimenti
noto il partito repubblicano) sono sembrati divisi e incerti sull’opportunità di
incoraggiare le proteste. Se alcune voci influenti della destra americana
hanno esortato alla prudenza, altri hanno affermato che non protestare
equivarrebbe a “cedere i propri diritti costituzionali”. Così l’ex Vice Presidente
Mike Pence, in passato molto critico sul ruolo svolto da Trump nell’assalto al
Campidoglio, ha parlato di “persecuzione politica” ma ha chiesto ai
manifestanti di protestare “in modo pacifico”, mentre lo Speaker della Camera,
Kevin McCarthy, ha definito l’azione del procuratore “un oltraggioso abuso di
potere” aggiungendo però che se l’ex presidente sarà incriminato “vogliamo
calma là fuori”. Persino Ron DeSantis, popolare governatore della Florida e
potenziale sfidante di Trump alle prossime primarie del partito
repubblicano, è corso in suo sostegno senza perdersi l’occasione di
punzecchiare il tycoon. E dopo un weekend di assordante silenzio, ha
dichiarato: “Non so cosa voglia dire pagare per il silenzio di una pornoattrice,
ma di certo il procuratore distrettuale di Manhattan è un pubblico ministero
finanziato da George Soros. Sta solo cercando di fare uno spettacolo politico,
di dare un segnale per la sua base. Per quel che mi riguarda – ha concluso –
ho problemi reali che devo affrontare qui nello stato della Florida”.
Primarie al vetriolo?
Pur con numerosi distinguo però, chi si aspettava grandi prese di distanza dal
leader repubblicano è rimasto deluso. Nel complesso Trump ha incassato
l’appoggio e la vicinanza di numerosi attori di spicco del GOP. Un dato
significativo che dimostra quanto il partito sia ancora fortemente saldo nelle
mani dell’ex presidente, nonostante le difficoltà registrate nelle ultime elezioni
di metà mandato. Considerato poi che i sondaggi per le primarie del prossimo
anno lo danno avanti rispetto ai potenziali sfidanti, anche chi vorrebbe liberare
il partito dalla sua stretta si trova a fare i conti con il suo carisma e la sua
capacità di mobilitazione elettorale. Risultato: dopo otto anni di scandali quasi
costanti, i repubblicani alla fine si sono schierati ancora una volta dietro di lui.
“Questo è un altro momento – non solo questa accusa, ma le altre che
probabilmente seguiranno – in cui i repubblicani intravedono l’opportunità di
rompere con Trump”, osserva Sarah Longwell, voce critica tra i repubblicani e
fondatrice del Republican Accountability Project. “Se non riescono a farlo, non
avranno nessuno da incolpare se non se stessi quando Trump sarà di nuovo
il candidato”. Ma mentre le accuse incombono sull’ex presidente, la
maggioranza del partito sembra aver fatto la sua scelta.
IL COMMENTO
di Mario del Pero, ISPI e Sciences Po
“La quasi certa incriminazione di Trump da parte della procura di New York
apre scenari complessi dalle molteplici implicazioni politiche e, in prospettiva,
elettorali. L’ex Presidente torna sotto quei riflettori che tanto agogna e di cui
ha assoluto bisogno in prospettiva 2024. La vicenda alimenta una narrazione
vittimista e cospirativa che da tempo costituisce il principale fattore mobilitante
la base trumpiana. E obbliga i leader repubblicani, che di Trump vorrebbero
volentieri liberarsi, a fare quadrato attorno all’ex Presidente e a denunciare
un’indagine che su alcuni aspetti appare abbastanza fragile. Per i democratici
– e per la democrazia statunitense – il rischio è che questa inchiesta
indebolisca quelle in corso su questioni ben più rilevanti, a partire dal tentativo
eversivo di rovesciare l’esito del voto del 2020 che portò poi all’assalto al
Congresso del 6 gennaio 2021. Se tutto ciò dovesse paradossalmente aiutare
Trump e rafforzarlo nella corsa per la nomination repubblicana, i principali
beneficiari sarebbero però Biden e i democratici stessi, che sanno di avere in
Trump un avversario assai vulnerabile.”
fonte:
Al Consiglio Europeo è disgelo tra Meloni e
Macron
Al termine del Consiglio Ue Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si sono
incontrati faccia a faccia per il primo bilaterale dopo gli incontri informali a
Roma e a Sharm el-Sheikh a margine di Cop27; nel mezzo, mesi di tensioni,
incomprensioni: a determinare la rottura era stata la contesa sui migranti e
sulle navi delle Ong. La Premier ha bisogno di sponde europee sui migranti e
la riforma del Patto di stabilità, Macron deve creare alleati su nucleare e
rilancio della competitività. I due si sono dunque visti al termine dei lavori; sul
tavolo una vasta gamma di temi: dai migranti alla riforma del Patto,
dall’energia alla competitività. L’incontro con Macron ha chiuso una giornata
che Meloni considera positiva. Il tema dei migranti, che nell’ordine del giorno
era confinato tra le varie ed eventuali, è stato affrontato a cena, con un report
della Commissione Ue sull’attuazione delle decisioni approvate al summit del
9 febbraio. Sul confronto, durato meno di un’ora, la delegazione italiana è
soddisfatta perché nelle conclusioni viene ribadita la necessità di attuare gli
impegni, fissando una verifica al prossimo vertice previsto in giugno. La
condizione della Tunisia, è l’allarme lanciato dalla premier, è “molto
preoccupante”, gli arrivi in Italia sono “triplicati” rispetto al 2022 e se questo
trend continuerà la prossima estate la situazione sarà “fuori controllo”.
Per quanto riguarda i temi economici, Meloni ha ribadito che l’allentamento
dei vincoli agli aiuti di Stato “non deve creare disparità tra Stati membri” e
che gli aiuti devono quindi essere “mirati e temporanei” in modo da garantire
parità di condizioni e “pieno funzionamento” del mercato unico. Per l’Italia
l’obiettivo principale è invece assicurare da parte europea la “piena
mobilitazione dei finanziamenti disponibili” e degli strumenti finanziari
esistenti, compresi quelli del Pnrr (su cui il ministro Raffaele Fitto ha avuto un
confronto con Paolo Gentiloni). Sulla revisione del Patto di stabilità e
crescita, Meloni ha ammesso che “ci sono visioni abbastanza differenti”: “la
sfida” deve essere “una governance più attenta alla crescita e non solamente
alla stabilità. Per noi sarebbe tragico tornare ai parametri precedenti”. Così
come sulla transizione green: “Fermi restando gli obiettivi della transizione,
che condividiamo, noi non riteniamo che l’Ue debba occuparsi anche di
stabilire quali siano le tecnologie con le quali arrivare a quegli obiettivi”, ha
detto, riferendosi allo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035. Al centro
del summit anche il sostegno all’Ucraina: il presidente Volodymyr Zelensky,
intervenuto da remoto, ha ribadito l’appello per l’invio a Kiev di armi a lunga
gittata; da parte dei 27 c’è la piena garanzia (a parte i distinguo dell’Ungheria)
di un pieno sostegno “per tutto il tempo necessario”, eventualmente anche
con un nuovo pacchetto di sanzioni.

FONTE – ISPI

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