ANALISI E COMMENTI – Banca d’Italia mette sotto esame le piccole banche | Lo scenario

Banca d’Italia mette sotto esame le piccole
banche | Lo scenario


Banca d’Italia è pronta ad alzare l’asticella del capitale per i piccoli istituti di
credito. Per marzo le banche non significant, quelle cioè sottoposte alla
vigilanza diretta di via Nazionale, dovrebbero conoscere i risultati dello Srep
2023, il processo periodico di revisione prudenziale che misura le dotazioni di
patrimonio e liquidità. Quest’anno l’esame è stato più severo che in passato.
Nelle bozze appena condivise con le banche, la Vigilanza si sarebbe
concentrata soprattutto sul requisito di secondo pilastro (Pillar 2), cioè quello
aggiuntivo che si applica sulla base di adeguatezza del capitale, governance e
gestione del rischio, liquidità e modello di business. Nelle interlocuzioni in
corso la richiesta rivolta a diversi istituti sarebbe quella di alzare il requisito a
fronte di un contesto macroeconomico carico di incertezze. Il tema è stato
toccato dal governatore Ignazio Visco nel corso dell’ultimo Assiom Forex:
“Anche a seguito dell’eccezionale incertezza che caratterizza l’evoluzione del
quadro congiunturale, i requisiti saranno fissati su livelli piu’ elevati rispetto al
passato, colmando quasi completamente il divario fino a oggi esistente con
quelli stabiliti per le banche significative”, ha puntualizzato Visco.
Gli esami delle piccole banche potrebbero insomma rivelarsi più impegnativi di
quelli appena sostenuti dalle significant. Secondo Bce infatti con l’ultimo Srep
le banche della zona euro “hanno mantenuto solide posizioni patrimoniali e di
liquidità, con la stragrande maggioranza che detiene più capitale rispetto ai
livelli dettati dai requisiti patrimoniali e dagli orientamenti derivanti dal
precedente ciclo”.
La stretta sulle piccole comunque non è una novità di queste settimane. Già
nel 2022 Bankitalia aveva dedicato grande attenzione al settore, chiedendo
una serie di interventi per migliorare la valutazione dei crediti deteriorati, la
gestione degli impieghi in bonis e la governance. Un’indagine trasversale
condotta nel corso dell’anno per esempio aveva messo nel mirino il
funzionamento dei board, facendo emergere più di una criticità. Le lacune
evidenziate nel documento finale andavano dalla durata dei mandati all’età
media elevata dei consiglieri, dalla scarsa presenza di donne nei board
all’influenza eccessiva esercitata da una sola figura come il presidente o il
vertice esecutivo.
Un altro fronte caldo è la gestione dei rischi climatici. Sempre alla fine dello
scorso anno Bankitalia ha chiesto alle less significant institution di predisporre
un piano di iniziative sulla gestione dei rischi climatici ed ambientali. Il piano
avrebbe dovuto avere un orizzonte pluriennale, con interventi di adeguamento
progressivi. Questo significa che per alcune aree sarebbe stato possibile
identificare azioni di breve termine (basati anche su strumenti tattici o
semplificati, come il ricorso a dati settoriali e non puntuali) e, solo
successivamente, soluzioni target nel medio-lungo termine. L’obiettivo di tutte
queste iniziative è chiaro: le circa 125 banche less significant dovranno
progressivamente allinearsi alle regole adottate dagli istituti maggiori. Un
percorso impegnativo che, secondo diversi osservatori, potrebbe far emergere
più di una situazione di crisi.
Già oggi sono diverse le piccole banche monitorate con attenzione dal
regolatore. C’è per esempio la Popolare di Valconca, l’istituto romagnolo
commissariato alla fine dell’anno scorso e oggi alla ricerca di un cavaliere
bianco. Un secondo esempio è la Cassa di risparmio di Volterra che potrebbe
uscire dal guado grazie all’intervento della Ion Group di Andrea Pignataro.
Nei prossimi mesi però il numero di intermediari con l’acqua alla gola
potrebbe salire, soprattutto per il progressivo deterioramento del tessuto
economico di riferimento. Proprio per prevenire queste emergenze nel 2022
si era pensato di lanciare un fondo a capitale pubblico/privato con una
dotazione iniziale di circa 500 milioni.
Anche se l’iniziativa era nata in seno al Fondo Interbancario di Tutela dei
Depositi (Fitd) il raggio d’azione avrebbe dovuto essere complementare a
quello del veicolo presieduto da Salvatore Maccarone. L’obiettivo era mettere
in sicurezza le banche less significant in situazione di difficolta’ ma non
ancora di crisi conclamata, quindi non ancora failed o likely to fail. Una
modalità insomma diversa da quella seguita dal Fitd nelle operazioni degli
ultimi anni. Proprio nel 2021 peraltro il Fondo Interbancario aveva cambiato il
proprio statuto per rivedere la disciplina degli interventi preventivi anche in
vista del target-level dello 0,8% dei depositi protetti entro il 2024.
Negli ultimi mesi però il progetto pare incagliato. La ragione? Il governo
Meloni non ha garantito quei capitali pubblici indispensabili per avviare
l’attività del fondo. Senza la partecipazione dello Stato infatti sarà difficile
convincere i banchieri italiani a sborsare nuove risorse. Soprattutto perché
nelle ultime crisi il Fitd ha pagato un costo molto significativo: comprendendo
anche lo Schema Volontario, il salasso è stato di 2,25 miliardi per copertura
perdite, 619 milioni come strumenti di equity e 30 milioni come garanzie per
un importo complessivo di quasi 2,9 miliardi.
fonte: THINK TANK OSSERVATORIO ECONOMICO E SOCIALE

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